Ripartiamo da capo. Ieri vi abbiamo raccontato del saccheggio al fondo da 5,8 miliardi per la transizione elettrica dell’industria dell’auto, alleggerito dell’80% dei fondi: quasi 2,2 miliardi tagliati nel triennio 2025-2027 e altri 2,4 miliardi dal 2028 in poi. Questo è il definanziamento più rilevante, ma in realtà è tutta l’elettrificazione dei trasporti che perde soldi in manovra: fondi per bus, treni e navi elettrici o per la mobilità sostenibile sono stati ridotti, del tutto cancellato il programma da 50 milioni per le piste ciclabili (nel settore trasporti l’unico capitolo a guadagnare fondi è la manutenzione ordinaria della rete ferroviaria: +670 milioni nel triennio, 1,5 miliardi in cinque anni).
Esclusa la sanità, che resta all’ingrosso coi fondi insufficienti di prima, il resto dei ministeri sarà costretto a piangere assai: molto colpito il ministero delle Imprese di Adolfo Urso e in proporzione anche il debole dicastero della Cultura (quasi mezzo miliardo di tagli in tre anni), ma perdono 200 milioni di qui al 2027 pure il Piano idrico nazionale e le opere annesse, mentre ai Comuni vengono sottratti 400 milioni per il dissesto idrogeologico, 360 milioni per la messa in sicurezza di strade, scuole, etc. e altri 200 per combattere il degrado urbano (più in generale Regioni ed enti locali subiscono una sforbiciata anche ai trasferimenti ordinari).
In generale il governo nel triennio della manovra definanzia spese per 22,7 miliardi (16,2 miliardi di spesa corrente e il resto in conto capitale), mentre ne finanzia di nuove per 15 miliardi: di queste 8,2 miliardi sono investimenti e l’80% riguardano sistemi d’arma. I soldi per la difesa scorrono al contrario del resto del bilancio. Le cifre totali che abbiamo dato all’inizio sono divise in quattro capitoli di investimento: due appannaggio del ministero di Guido Crosetto e due di quello di Urso, ma sempre destinati a nuove armi. Partiamo qui dal nuovo fondo “Pianificazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento degli armamenti, ricerca, innovazione tecnologica, sperimentazione e procurement militare”, cioè un fondo per l’acquisto di nuove armi: avrà 1,5 miliardi di euro l’anno dal 2025 al 2039, 22,5 miliardi in tutto.
Pure il Programma Fremm (Fregate Europee Multi Missione) ottiene bei soldi: alle navi da guerra prodotte da Fincantieri e Leonardo con la francese Naval Group – in una nuova versione supertecnologica – la manovra assegna nuovi finanziamenti per 996 milioni nel triennio e per 3,3 miliardi in totale (il costo del programma Fremm arriva a 4,3 miliardi, il doppio di quanto si disse in Parlamento nel 2023). Non è finita, perché al “settore marittimo – difesa nazionale” vanno anche maggiori contributi per circa 600 milioni nei prossimi tre anni, più un altro miliardo e spiccioli a partire dal 2028: soldi che serviranno all’acquisto dei cacciatorpedinieri Ddx (progetto a cui partecipa Fincantieri, ma che interessa anche i radar di Leonardo).
Per concludere va citata anche la rimodulazione del fondo dedicato alle “Spese di investimento del ministero della Difesa” che aumentano di 462 milioni per i prossimi tre anni per poi ridursi di 413 milioni dal 2028: l’obiettivo è dare al dicastero un miliardo abbondante l’anno per “altri” investimenti. Non saremo al 2% del Pil che chiede la Nato, ma Crosetto non si può certo lamentare: finché c’è guerra c’è speranza.