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Roma
Un tentativo “no partisan” per dire sì alla elezione del premier, ma non nella attuale formulazione. Per ricordare alla sinistra che una chiusura preconcetta non si giustifica, essendo andati in quella direzione già i programmi dell’Ulivo e del primo Pd, avvertendo nel contempo la maggioranza che il testo così non regge, e rischia di implodere alla prova dei fatti, o – anche prima – di non passare il vaglio della Corte Costituzionale. Una lettera aperta a maggioranza e opposizione, corredata da due proposte di emendamenti messe nero su bianco da un cartello di “negoziatori” (Iocambio, Libertàeguale, Magna Charta e Riformismo e libertà). Correzioni che sono state illustrate nel corso di una conferenza stampa tenuta al Senato, presso la Sala Caduti di Nassiriyah, da Natale D’Amico, Gaetano Quagliariello, Enrico Morando, Claudia Mancina, Stefano Ceccanti e Peppino Calderisi. I due emendamenti toccano due nervi scoperti che non possono essere demandati, sostengono i proponenti, alla legge ordinaria. Il primo interviene sul nodo più intricato da sciogliere, ossia l’automatismo previsto della attribuzione maggioritaria dei seggi alla maggioranza collegata al premier eletto che potrebbe anche essere espressione di un consenso minoritario. Accade anche in Francia, si obietta, ma – appunto – non viene anche previsto l’effetto “trascinamento” che in Italia si vorrebbe introdurre per il numero dei seggi parlamentari. Il primo emendamento prevede quindi un eventuale ballottaggio per l’elezione del primo ministro e si prevede che il voto degli italiani
all’estero venga computato «in base al rapporto tra il numero degli elettori e il numero dei seggi della circoscrizione Estero ». La Costituzione prevede infatti un “diritto di tribuna” di 12 seggi, a prescindere dall’incidenza numerica degli aventi diritto al voto in quanto iscritti al Anagrafe italiani residenti all’estero (Aire). Ora, se il ballottaggio si rende necessario quando nessuno dei candidati alla guida del governo ottiene la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere, non è pensabile che gli italiani all’estero possano avere, in questa seconda consultazione, un’incidenza superiore a quella che la Costituzione ha voluto attribuire loro, e dunque l’intero apporto dovrà essere ponderato in base all’incidenza dei seggi loro spettanti, per non falsare in modo abnorme, e tendenzialmente rendere incostituzionale l’esito del ballottaggio. Il secondo emendamento, invece, propone di «ampliare il collegio di elezione del presidente della Repubblica ai membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia e a un numero di delegati delle autonomie locali pari a quelli dei delegati regionali». Inoltre per mantenere nei fatti un ruolo di garanzia al capo dello Stato viene sollecitata una convergenza più ampia della sola maggioranza di governo proponendo di «innalzare al 55% la maggioranza richiesta dopo il sesto scrutinio».
«Il nostro obiettivo – spiega Ceccanti – è che al presidente del Consiglio arrivi una legittimazione elevata, una maggioranza assoluta effettiva, in prima o seconda battuta, che avrebbe un effetto de-radicalizzante». «L’auspicio – conferma D’Amico – è che la riforma si faccia e bene. In commissione alcuni passi avanti sono stati fatti ma rimangono problemi seri, che richiedono una discussione in Senato che non si limiti a ratificare ciò che è stato deciso». La maggioranza però spinge. Il testo arriva domani
in aula al Senato con l’obiettivo di ottenere una prima lettura in una delle due Camere già prima del voto europeo. I tempi per formalizzare gli emendamenti, da parte di chi volesse recepirli, sono davvero ristretti. Gaetano Quagliarello rivolge allora un invito pressante: «Chiedo che non si fermi il dibattito in Senato ma che vada avanti, che da parte di chi ha proposto la riforma ci possa essere una apertura alle ragioni degli altri». Enrico Morando si rivolge invece al centrosinistra ricordando le varie proposte basate sul modello di governo del primo ministro che negli anni sono state presentate. «La scelta di Meloni e del centrodestra di partire dal modello del premierato e non dal presidenzialismo – sostiene l’ex senatore – è un successo del centrosinistra e del Pd, perché dovremmo negarlo affermando che questa progetto è patrimonio della destra?». Si rivolge alle opposizioni anche Claudia Mancina. «Questa apertura verso le riforme istituzionali è nel dna del centrosinistra, ma in questa fase ciò è stato completamente dimenticato. Si spara a zero non solo sulle proposte concrete ma sull’idea stessa del cosiddetto premierato: temo non si tratti solo di propaganda – conclude -, ma di un cambiamento di prospettiva dell’attuale classe dirigente del Pd».