Un’esposizione nelle sale di Palazzo Vecchio curata da Sergio Risaliti e Cristina Acidini indaga i rapporti del Buonarroti con i potenti
di elisabetta berti
La torsione del collo verso sinistra, la mascella serrata e lo sguardo fiero. C’è qualcosa che ricorda il David nel volto di Bruto che Michelangelo Buonarroti scolpì alla fine degli anni Trenta del Cinquecento, probabilmente per omaggiare Lorenzino de’ Medici che nel 1537 aveva pugnalato a morte Alessandro il Moro, colui che dopo la fine dell’assedio di Firenze aveva assunto il governo della città trasformandolo in fretta in una tirannia. Il busto del Bruto, il cui “ non finito” ne amplifica l’aura di forza, è conservato al museo del Bargello, sicuramente un po’ in secondo piano rispetto ad opere più celebri del Buonarroti. È invece la principale, e sicuramente la più carica di significato, tra le opere riunite a Palazzo Vecchio per la mostra del Museo Novecento “ Michelangelo e il potere” curata da Sergio Risaliti a quattro mani con la presidente di Casa Buonarroti Cristina Acidini, promossa dal Comune di Firenze ed organizzata da Muse (fino al 26 gennaio).
Proprio il Bruto, così esemplificativo del rapporto talvolta conflittuale che il grande artista ebbe con chi incarna il potere, e per la prima volta esposto nel palazzo che dal Medioevo è sede del governo fiorentino, diventa il motore di un’esposizione che approfondisce uno degli aspetti più interessanti della personalità di Michelangelo, artista di fama internazionale, ricercatissimo da papi e regnanti e tuttavia sempre cauto nel gestire le relazioni con i potenti. Distribuita tra la Sala delle udienze e la Sala dei gigli, la mostra propone attorno al busto del Bruto cinquanta tra disegni, lettere, dipinti, sculture e calchi in gesso, in qualche caso frutto di importanti prestiti: oltre che dal Bargello anche dagli Uffizi, Casa Buonarroti, la Fondazione Thyssen Bornemisza e le Gallerie nazionali d’arte antica di Roma.
Tutto confluisce nella narrazione della vita di un uomo che fin da giovanissimo godette di una eccezionale vicinanza con le più alte sfere. Quando era solo un adolescente che si stava formando al mestiere dell’arte sotto la protezione di Lorenzo il Magnifico, nella casa dei Medici frequentò due ragazzi della sua età destinati a diventare papi: Leone X e Clemente VII. Un privilegio toccato a nessun altro artista né prima né dopo di lui. «Da Lorenzo il Magnifico a papa Paolo III, da Giulio II, il papa guerriero, a Cosimo I duca di Firenze che tentò invano di far tornare Michelangelo da vivo in città, la familiarità del Buonarroti con le grandi personalità del suo tempo è stata a dir poco inusuale e appare ai nostri occhi sorprendente » spiega Risaliti. Un carnet di relazioni chela mostra rappresenta visivamente con una grande parete affollata dei ritratti di uomini illustri che ruotano intorno al volto di Michelangelo raffigurato dall’amico Giuliano Bugiardini: si riconoscono il Savonarola di Fra’ Bartolomeo, Pier Soderini di Ridolfo del Ghirlandaio, Cosimo I in armatura del Bronzino, e ancora Vittoria Colonna e Leone X sempre del Bugiardini. Ormai affermato anche oltre i confini italiani, Michelangelo arrivò a rapportarsi personalmente con i sovrani, come testimoniato da una lettera conservata a Casa Buonarroti in cui è addirittura la regina di Francia a pregarlo di realizzare una commissione. Ma da uomo saggio, spesso scelse un atteggiamento improntato alla prudenza. « Pensiamo con quanta riluttanza accettò di diventare ingegnere capo della Repubblica fiorentina contribuendo in modo decisivo alla difesa di Firenze, che poi però cadde con l’assedio del 1529- 30 e vide restaurare il potere dei Medici. Una carica che lo metteva direttamentein conflitto con il suo committente Clemente VII » , racconta Cristina Acidini, « eppure con quanta prontezza Clemente VII lo perdonò, a dimostrazione del potere che anche Michelangelo aveva. Il potere di una grande arte».
Ed ecco che insieme al Bruto, quasi un manifesto del suo pensiero politico anti- tirannico, la mostra rimanda ad episodi divenuti leggenda come la Battaglia di Cascina commissionatagli per il salone di Palazzo Vecchio dal gonfalone Pier Soderini, lo stesso che volle posizionare il David sull’arengario; le fortificazioni per la Repubblica fiorentina, i progetti per il complesso di San Lorenzo, uno per la facciata e l’altro per la biblioteca Laurenziana, che ancora una volta parlano del rapporto con i papi Medici; e la pianta della basilica di San Pietro a Roma, proveniente dagli Uffizi, che lo tenne occupato fino alla morte in un testa a testa con ben quattro papi. Ed ancora sculture e gessi per ripercorrere una carriera costellata di capolavori; dalle sculture del Fauno e dell’Amorino dormiente provenienti da collezioni private, alle copie in gesso del Bacco per il cardinale Riario, dalla Pietà Vaticana per il cardinale de Lagraulas, alla statua della Notte che nelle Cappelle Medicee celebra i duchi Medici. Capolavori assoluti che fanno pensare ad un’altra accezione del potere in riferimento a Michelangelo: quello di esprimere giudizi, anche severi, che si imponevano immediatamente. Ancora Acidini: « Pensiamo a quando Baccio d’Agnolo aveva appena cominciato la loggetta della cupola di Brunelleschi e Michelangelo la definì una “gabbia per grilli”: la costruzione fu subito interrotta e il lavoro tolto a Baccio d’Agnolo. Oggi lo chiameremmo un temibile opinion maker».