Nei titoli di coda di questa brutta campagna elettorale, infarcita di insulti, cattiverie, intimidazioni ai giornalisti e propaganda da quattro soldi, ecco arrivare la tanto attesa riforma della giustizia. Reclamato da Forza Italia come tributo a Berlusconi (non bastava il francobollo commemorativo?), il disegno di legge costituzionale è stato approvato ieri in appena venti minuti dal Consiglio dei ministri, quasi fosse la voce “varie ed eventuali” alla fine di una riunione di condominio. Si ribaltano radicalmente alcuni architravi dell’assetto costituzionale della magistratura, a partire dal Csm e dalla fine dell’unicità della carriera tra giudici e pubblici ministeri. Una riforma che va valutata attentamente non solo in se stessa, ma come parte fondamentale del trittico costituzionale con cui la destra sta scardinando pezzo a pezzo l’impianto della Carta: premierato, autonomia differenziata e ora, appunto, il tassello mancante della Giustizia.
È importante questa premessa, per non cadere nella trappola del giudizio tecnico sui singoli aspetti della legge Nordio-Mantovano, guardando a terra in cerca di ghiande senza alzare lo sguardo sull’intera quercia.
E tuttavia, per limitarci all’oggi, è interessante notare la quantità di bugie, distorsioni e mezze verità con cui è stata presentata l’opera. Segno di una evidente debolezza di argomentazioni che non sia la solita e trita giaculatoria sul pm che finalmente da domani dovrà dare del lei al “signor giudice”.
Vediamole allora alcune di queste mezze verità. La prima, sbandierata ieri mattina in prima pagina dai giornali della destra, è relativa a un presunto via libera del Quirinale alla riforma. Niente affatto. Come è prassi, il ministro competente Nordio, accompagnato dalla “scorta” di palazzo Chigi Mantovano, ha presentato informalmente al presidente della Repubblica una bozza del disegno di legge, senza riceverne in cambio né un sì e nemmeno un no. Anche perché il capo dello Stato, in questa fase, non era titolato a esprimere assensi o dissensi, talché si capisce l’irritazione che trapela da Mattarella per essere stato arruolato come soldato nel battaglione Nordio. La seconda bugia l’ha detta il ministro di Grazia e Giustizia per mettere a tacere preventivamente le legittime critiche dell’Associazione nazionale magistrati. Il popolo è sovrano, ha detto Nordio, e si è già espresso sulla separazione delle carriere. Intendendo che il risultato delle Politiche 2023 — premiando un centrodestra minoritario contro un centrosinistra maggioritario ma diviso — imporrebbe ora al governo di ubbidire procedendo al taglio netto tra pm e giudici. Ma il popolo sovrano, forse il ministro l’ha dimenticato, si era espresso ancora più nettamente nel giugno di due anni fa, bocciando 8 contro 2 il referendum sulla separazione delle carriere. Strana amnesia, visto che proprio Nordio era presidente del comitato per il sì a quei referendum che furono snobbati dall’80 per cento degli italiani. La terza bugia riguarda l’impropria citazione di Giovanni Falcone, a cui il governo si aggrappa come a un santino per nobilitare l’attacco alla magistratura. Ci ha pensato Armando Spataro, in un lungo articolo sul Foglio di due giorni fa, a smentire con dovizia di citazioni e memoria storica questa leggenda di Falcone apostolo della separazione delle carriere. Non è vero e lo stesso martire della lotta alla mafia chiese e ottenne “più volte” per sé il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti.
È un problema cogente e reale questo della mancata separazione delle carriere? Altra costruzione irreale, puramente ideologica. Sulla materia è intervenuto già il governo Berlusconi (riforma Castelli del 2006) con molti limiti al passaggio tra le due funzioni. Poi, più drasticamente, la ministra Cartabia con la legge 17 giugno 2022 ha fatto cadere la sua mannaia: soltanto una volta nell’intera carriera il magistrato può cambiare idea e passare dagli uffici della procura al tribunale o viceversa. Ma, attenzione, deve pensarci all’inizio, entro nove anni dal suo ingresso in magistratura. Quanti lo hanno fatto in questi anni?
Pochi, pochissimi. Appena qualche decina di magistrati su oltre ottomila toghe. Al dunque l’unica cosa positiva di questa “riforma” è la parte che manca, perché espunta nelle laboriose trattative interne alla maggioranza. Non c’è la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale e l’imposizione al magistrato delle direttive governative sulle indagini, premessa della sottomissione finale del pubblico ministero all’esecutivo. Per ora, almeno, abbiamo evitato di finire a Budapest. Un’altra cosa che manca è invece l’unica che dovrebbe esserci in una riforma della giustizia che interessi davvero i cittadini e non sia solo l’ennesimo tentativo di rivalsa politica sulla magistratura. Non c’è nulla, nemmeno un comma, sulla velocizzazione dei processi lumaca, il vero flagello della giustizia italiana. A questo governo non interessa molto, meglio separare le carriere e dar vita a due Csm. Una riforma inutile e dannosa che si risolverà, come disse prosaicamente l’avvocato Franco Coppi, in “un enorme sperpero di quattrini”.
Ma tranquilli, sperabilmente ci sarà un referendum costituzionale anche su questa riforma Nordio. E allora il popolo sovrano potrà esprimersi davvero e ribadire il giudizio già dato sonoramente due anni fa.