Ai correntisti, invece, sono rimaste le briciole. Nonostante il forte aumento dei tassi da parte della Bce, a fine novembre la remunerazione media dei depositi era ancora a un magro 0,95% (dati Bankitalia). L’aumento dei tassi per ora si è riversato quasi solo sui prestiti: il tasso medio pagato dai mutui è al 4,92% (più che raddoppiato dal 2022), mentre il credito alle imprese ha raggiunto il 5,59% (quasi quintuplicato). Tutto questo ha ingrassato a dismisura i guadagni delle banche. Eppure, a settembre il direttore generale dell’Associazione bancaria italiana Giovanni Sabatini piangeva miseria per le “ingiustificate penalizzazioni” della tassa sugli extra-profitti. La misura, che comunque avrebbe scalfito solo di 1,8 miliardi il ricco guadagno in tempi di crisi, alla fine non si è materializzata. O meglio, è stata ammorbidita: gli istituti hanno potuto decidere se pagare o accantonare una somma pari a 2,5 volte il dovuto. Così tutti hanno scelto la seconda opzione e nelle casse pubbliche non è entrato nulla.
Nonostante questa Caporetto, Meloni continua a sbandierare la misura come una vittoria. A Quarta Repubblica la premier si è detta contenta: ora che le banche sono più solide (grazie al famigerato accantonamento), “il credito è aumentato” ha detto la premier. In realtà è il contrario: da quando la tassa è stata annunciata ad agosto, i prestiti al settore privato sono calati di 3 miliardi (dati Abi), continuando un trend discendente (-3,3% annuo fino ad agosto 2023, dati Bankitalia), mentre il margine delle banche è aumentato dal 4,08 a 4,23%, secondo l’economista Mario Seminerio. Alla faccia dell’operazione “win win” rivendicata da Meloni.