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28 Aprile 2024Bob Wilson «Ciò che mi intriga di lui sono le sue contraddizioni e molteplici personalità»
di Ginevra Barbetti
Questo è l’anno del Portogallo, che celebra mezzo secolo dalla Rivoluzione dei Garofani che pose fine al regime dittatoriale di Salazar. Pensare a Fernando Pessoa che visse quel tempo, patendo le regole censorie posti alla sua produzione artistica, diventa naturale. Nasce così, dall’incontro tra il Teatro della Pergola di Firenze e il Théâtre de la Ville di Parigi, uno spettacolo di forte visione europea dedicato al lavoro dello scrittore inquieto, sulla scia dei passati omaggi a Sigmund Freud, Daniil Kharms e Vaclav Nižinskij.
A firmare la regia di Pessoa Since I Have Been Me che debutta Firenze in prima mondiale giovedì 2 maggio e resta in scena alla Pergola fino al 12 l’eclettico Robert Wilson, definito dal The New York Times come l’artista teatrale più visionario al mondo. Il testo, scritto insieme al drammaturgo Darryl Pinckney «che per certi versi ricorda lo stile e il pensiero del nostro poeta», dice il regista, sarà in inglese, portoghese, francese e italiana, rispettando le diverse nazionalità del cast: è portoghese Maria de Medeiros, brasiliano Rodrigo Ferreira, italiani Sofia Menci e Gianfranco Poddighe, italo-albanese Klaus Martini. «L’inventiva di Pessoa — dice Pinckney — si è espressa come la gestazione dei molteplici sé nella sua testa. Non erano pseudonimi. Erano lui e allo stesso tempo non erano lui. Li chiamava eteronimi, alleati in una grande avventura: la ricerca della voce liberata della poesia, di un’identità dalle infinite possibilità. Ha trovato così, in sé, gli amici necessari. Wilson evoca le varie atmosfere della sua produzione letteraria, a iniziare dalla fluidità dell’umore, meditativo o comico, razionale o anarchico».
La forza dell’immaginazione poetica dello scrittore portoghese sta nella volontà di scrivere contro ogni dubbio e nella sua capacità straordinaria di farlo, passando indifferentemente da una lingua a un’altra. «È un progetto questo che mi è venuto a cercare — spiega Wilson — trovandomi pronto ad accoglierlo con entusiasmo. Ciò che m’intriga sono le molteplici personalità e le contraddizioni evidenti e nascoste della sua vita. Pessoa è stato un gran solitario, nel quotidiano così come nel viaggio della sua immaginazione. L’idea di una coproduzione con attori dai background culturali differenti, ben si adatta a raccontare la figura di un portoghese cresciuto in Sud Africa dalla personalità vibrante di facce e colori. Lo spettacolo è costruito allo stesso modo, tante idee quanti i personaggi che lo definiscono. Il primo step è stato capire come trattare queste sfumature. Lo schema non è lineare o narrativo: la scena, divisa in tre parti dall’infanzia all’età adulta, si apre con un interprete vestito come lo scrittore, seguito poi dall’intera compagnia in abiti identici, ma non del tutto uguali. È una costruzione astratta che rispetta il senso del nostro fare teatro, ovvero porre delle domande. Se da un lato cercheremo di rispettare il maestro, dall’altro non ne diventeremo schiavi. Bisogna sapersi allontanare, prendere le distanze»».
Una drammaturgia che mescola parole essenziali che dicono qualcosa sul sé, in una corale creazione dove si intersecano gli aspetti più intimi della vita. Charles Chemin, co-regista, lavora da oltre trent’anni con Wilson. Dopo aver iniziato come attore, oggi immagina con lui la drammaturgia, i concetti, la direzione artistica. Insieme si muovono con formalismo sull’aspetto visivo delle cose, su ogni dettaglio in un teatro che porta le storie, mentre racconta la storia. Uno spazio che s’illumina e viene riempito da più connessioni in modo estemporaneo. «Non mi faccio troppe domande, seguo il flusso costante della creatività — prosegue Wilson — Il titolo, ad esempio, è solo un titolo: “ince I have been me s’inspira a un frammento de Il libro dell’Inquietudine e viene quindi mantenuto in inglese. A volerlo tradurre, possiamo dire che si avvicina a Da quando sono io . Non dobbiamo però metterci l’interpretazione. Quando ho lavorato a Einstein on the beach , non c’era Einstein sulla spiaggia. Giorni felici di Samuel Beckett ha inizio con la scena di una tragedia. Qualunque cosa si possa pensare, ha la potenzialità di diventare reale. È un viaggio dunque, attraverso stati d’animo diversi, tangibili e non. Basato su fatti, illusioni e ramificazioni della persona di Pessoa».
Nella costruzione del suo progetto, in dialogo tra cose viste e ascoltate, il primo elemento di cui si serve è la luce: un collettivo dell’immaginario visivo, fatto di volti, situazioni, cornici paesaggistiche. «Mi guardo indietro e penso che tutto il mio lavoro sia parte di un lungo fiume, un corso d’acqua che a volte è interrotto da rocce. O da una tempesta che ha gettato un albero sul mio cammino, con rami e foglie, ma è sempre lo stesso fiume, sempre lo stesso albero. Andare a teatro — continua Wilson — significa avere il tempo di pensare, permettersi un momento per riflettere. Dovrebbe essere accessibile a tutti e avere una porta sempre aperta nella sua funzione fondamentale per la società. Ne è il centro, qui le persone si ritrovano superando differenze politiche e religiose. Dove sono cresciuto, in Texas, non c’era. È un privilegio immenso, oggi, poter presentare il mio spettacolo in una cornice potente e magica come questa».
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