Il senso temporale delle dimissioni preventive del papa
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19 Dicembre 2022di Francesca Sforza
L’Europa chiama e la destra italiana risponde. Si potrebbe sintetizzare così la decisione del governo Meloni di rimandare ad altra occasione la decisione di cancellare la norma sul Pos in seguito ai rilievi della Commissione Ue. Ma definirla marcia indietro significherebbe non cogliere il significato politico di quanto sta accadendo tra il partito con la storia più euroscettica d’Europa e le istituzioni comunitarie. Sin dall’inizio infatti l’antagonismo che aveva segnato la campagna elettorale si è piegato verso l’interlocuzione ragionevole. Prima sui temi più geopolitici, dalla politica delle sanzioni ai dossier energetici, poi su quelli tecnici, dalle intese su agricoltura a quelle sulle infrastrutture, infine su quelli economici, relativamente ai rilievi mossi sulla manovra di bilancio. Resta il nodo delle migrazioni, ma l’impressione è che anche su quello l’accordo sia più facile di un conflitto senza soluzioni.
In ognuno di questi settori, l’intesa tra il governo italiano e le istituzioni europee non è mai sembrata il risultato di negoziati sfiancanti, di mediazioni all’ultima postilla, di scontri politici evitati per un soffio. Tutt’altro, la volontà di non trovarsi in contrasto è stata sempre un presupposto, una base di lavoro su cui far eventualmente atterrare qualche divergenza. Neanche due mesi di governo e delle intemerate anti-europee di Giorgia Meloni sta sbiadendo persino il ricordo. Il nazionalismo e le politiche identitarie non sono certo sparite, piuttosto si sono urbanizzate, ricollocandosi all’interno del disegno comune europeo. L’interesse della nazione – capita spesso di sentir dire a Bruxelles, con una predilezione per il termine ottocentesco rispetto a “Paese” o “Stato” – trova in Europa la possibilità di essere rappresentato, non più umiliato o misconosciuto. E non è questa una novità da registrare? Anche lo scandalo che ha travolto il parlamento di Strasburgo non è stato stavolta occasione per mettere in discussione gli assetti comunitari (al massimo è stato usato come trampolino per far risaltare le qualità morali della destra di fronte a una sinistra macchiata dal fango della corruzione).
Insomma, la democristianizzazione di Fratelli d’Italia è cominciata. Ma forse sarebbe il caso di lasciar stare parole troppo cariche di storia patria, e che certo non rientrano nello schema dell’attuale Governo. Un po’ come “nazione”, sono da preferire parole come “partito conservatore”, “destra capace di unificare” e cose così. Oppure si può immaginare di cominciare a camminare verso un grande partito popolare, che sia in grado in un giorno non troppo lontano di entrare in una delle due grandi famiglie europee (come sa bene il ministro degli Esteri Tajani, che è già al lavoro).