Contro le donne una guerra senza regole, dopo Giulia non abbiamo imparato niente
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di Massimo Gramellini
«Fare soldi per fare soldi per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non ne ho viste». Il memorabile incipit di Giorgio Bocca sulla provincia consumista degli anni Sessanta potrebbe essere una degna epigrafe del fenomeno degli influencer, che ha in Chiara Ferragni la sua regina di denari in caduta libera. Gli influencer hanno colto l’affare del secolo, la solitudine dei consumatori, e hanno organizzato un mondo in cui si spacciano per loro amici, offrendo un pacchetto esistenziale completo, buoni sentimenti inclusi: la famigliola un po’ litigiosa ma tanto coccolona, le battaglie per i diritti civili che a differenza di quelli sociali non danno fastidio ai signori del fatturato e, dulcis in fundo, una spolverata di beneficenza allo zucchero, in senso letterale: Selvaggia Lucarelli, che è la nemesi di Ferragni, dopo avere scoperchiato il pandoro di Natale ha trovato una sorpresa anche nelle uova di Pasqua. Lo schema è abbastanza simile: la fata buona annuncia il suo «sostegno» a un progetto di beneficenza per ragazzi autistici, mentre invece è la Dolci Preziosi a ricompensare l’influencer per il disturbo con un assegno clamorosamente superiore a quello riservato ai bambini (un milione e duecentomila euro contro trentaseimila).
Ho iniziato con Bocca e finirò con un altro Giorgio. Gaber: «Non temo Ferragni in sé, temo Ferragni in me». Da quando abbiamo smesso di credere nei nostri sogni per affidarli ai piazzisti patinati?