Le lacrime di Paul Cézanne
29 Novembre 2024Il governo spaccato e il pranzo riservato al Colle Meloni-Mattarella
29 Novembre 2024Carlo Messina: “L’Unione europea si salva se utilizza gli eurobond. Operazioni delle banche? Decidono gli azionisti”
L’ad di Intesa Sanpaolo all’Alfabeto del Futuro su scenari globali e risiko del credito: «Il governo può intervenire se ci sono rischi per la sicurezza nazionale, ma non li vedo»
TORINO. Prima il tentativo di scalata di Unicredit su Commerzbank, poi l’ingresso di Banco Bpm (con Caltagirone e Delfin) in Mps e la spinta verso la creazione di un terzo polo bancario e lunedì l’Ops, sempre lanciata da Unicredit, su Banco Bpm. Azioni che hanno scatenato altrettante reazioni da parte del governo. «Ormai è partito un percorso che porterà a delle integrazioni successive» sostiene Carlo Messina. Il ceo e consigliere delegato di Intesa Sanpaolo analizza i rapidi cambiamenti in corso nel mondo bancario e sottolinea come gli eurobond siano l’unico strumento per creare un’Europa davvero coesa e pronta a rappresentare un punto di riferimento geopolitico tra Usa e Cina, a differenza delle operazioni di fusione e acquisizione che non bastano a questo scopo. Lo fa durante l’ultima tappa de “L’Alfabeto del futuro”, ciclo di incontri organizzato con le testate del gruppo Gedi, intervistato dal direttore de La Stampa, Andrea Malaguti.
Dottor Messina, il 2024 è stato un anno caratterizzato dalle elezioni, in Italia, Europa e Usa, e dominato da due guerre, in Ucraina e in Medioriente. Partendo da queste basi, che anno sarà il 2025?
«Ci auguriamo che le guerre possano avere termine. Guardando all’economia, credo che il 2025 continuerà a essere un anno di crescita, con delle differenze ovviamente tra i vari Paesi. Anche con l’amministrazione targata Donald Trump alla Casa Bianca non mi aspetto delle variazioni significative delle prospettive di crescita. Sono convinto che eventuali elementi negativi, come i dazi nei confronti dell’Europa, potrebbero essere compensati da elementi positivi, come un cambio più favorevole».
L’Europa ha un ritardo colmabile rispetto agli Usa per gli investimenti in tecnologia?
«La risposta viene dai numeri: gli investimenti in AI negli Stati Uniti sono pari a 320 miliardi, in Cina a 100 in tutta Europa a 20. Dobbiamo definire quale ruolo vuole giocare l’Europa: se vuole davvero diventare un soggetto unico che dal punto di vista geopolitico bilanci gli Usa e la Cina, o continuare a essere un insieme di Paesi isolati e di dimensioni insufficienti. Ritengo incomprensibile che non ci sia stata un’accelerazione nel processo di integrazione tra le nazioni europee».
Basta l’unione del mercato dei capitali?
«Continuare a porre enfasi sulla capital market union come soluzione di tutti i problemi europei lo considero fesseria. Secondo me il punto vero di svolta per l’Europa è rappresentato dagli eurobond. Se si realizzano gli eurobond per finanziare progetti che siano di interesse comune europeo, non solo nella difesa, ma anche nelle infrastrutture, nell’energia, nel sociale, allora si dà una prospettiva all’Europa. Se non avviene questo, se si perde tempo in chiacchiere, l’Europa non potrà essere un centro di potere geopolitico. Pensiamo a quello che dovrà essere il dialogo con Trump: è necessario parlare con una voce sola».
I detrattori degli eurobond sostengono però che i Paesi con molto debito pubblico si troverebbero in difficoltà. È così?
«No, perché oggi rispetto al 2011, l’anno della crisi dei debiti sovrani, la situazione è completamente cambiata. Guardiamo a quelli che sono i fondamentali economici dei Paesi che sono effettivamente da considerare: la posizione finanziaria verso l’estero, l’indebitamento di famiglie e imprese, la solidità del sistema bancario. A ciò si aggiunge il debito pubblico. Considerando l’insieme di tutti questi elementi l’Italia risulta molto ben posizionata, eccetto sull’ultimo punto. Ma se i Paesi del Nord pensano che gli eurobond non si possano realizzare perché in Italia c’è un alto debito pubblico sbagliano. L’Italia a sua volta potrebbe sollevare remore nel condividere il debito con nazioni che hanno fragilità sulle banche o sull’indebitamento delle famiglie. Diamoci una volta per tutte una maggiore visione comune e la capacità di guardare lontano».
C’è un pregiudizio antitaliano?
«Ha ragione il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, quando dice che il rating non è rappresentativo della forza dell’Italia. Dobbiamo porre nelle sedi opportune la necessità di non limitarsi a valutare il nostro Paese solo per il debito pubblico. I modelli non sono più adeguati. Il rating delle famiglie e delle imprese in Italia è tripla A, quello del settore bancario è doppia A e quello del debito è BBB. Ma l’insieme di tutto questo può essere un giudizio di tripla B? Non credo, dovrebbe essere perlomeno singola A. E infatti in Francia, anche se il giudizio è AA, vista l’instabilità politica, ha uno spread in aumento. C’è una sottovalutazione nel contesto internazionale del potenziale del nostro Paese, mentre invece possiamo avere una posizione di leadership».
I suoi auspici sull’unità dell’Ue sono sostenibili visto che la Commissione ha una maggioranza tra le più ristrette degli ultimi anni?
«Sono più preoccupato dalla situazione dei singoli Paesi. La condizione della Germania, che andrà alle elezioni nei prossimi mesi è oggettivamente preoccupante dal punto di vista economico. E timori ci sono anche per la Francia. Noi siamo l’unico Paese d’Europa che al momento ha stabilità. E se oggi la visione che hanno gli investitori internazionali dell’Italia sta migliorando è proprio perché c’è stabilità».
Come vede l’operazione Unicredit-Commerzbank?
«È un’operazione che ha un significato strategico e può portare sinergie. Unicredit in Germania ha già una banca e la fusione con Commerz industrialmente è un’operazione molto ragionevole. Non è però un’operazione transfrontaliera, sfatiamo questa convinzione. Perché porta a una aggregazione tra banche che già operano nello stesso Paese. Vorrei anche aggiungere: non credo che siano le fusioni bancarie di per se a realizzare un’Europa più unita».
Parliamo dell’Ops su Banco Bpm. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha detto che si valuterà se applicare il golden power. Perché la politica ha avuto reazioni così dure?
«Non succede solo in Italia, ma è avvenuto anche in Spagna e in Germania con governi di colore diverso. Credo che il pallino di queste operazioni debba essere dal punto di vista della supervisione, che è nelle mani della Bce, e dal punto delle decisioni degli azionisti. Poi è chiaro che se ci sono temi di sicurezza nazionale interviene il governo. In questa operazione che ci siano elementi di sicurezza nazionale, per le conoscenze che io ho, non vedo motivi per poterlo argomentare. Ovvio, poi, che ogni governo ha la possibilità di fare le sue valutazioni».
Perché il vicepremier Salvini si sente libero di dire che Unicredit è una banca straniera?
«Intesa Sanpaolo è la banca che ha l’azionariato più italiano, il 40%. Ma il 60% comunque è in mano a investitori internazionali, e questo essendo la nostra banca il pilastro dell’economia italiana. Rispetto invece a voci che ci hanno chiamato in ballo dico che non possiamo essere noi i cavalieri bianchi in questa operazione per un motivo molto semplice, perché abbiamo una quota di mercato talmente elevata che non possiamo fare nessuna acquisizione in Italia. Quindi, a prescindere dal fatto che non lo vogliamo fare, non lo potremmo fare».
Avete gestito varie fusioni. Come si procede?
«Sì, in questi anni abbiamo integrato molte banche. Ho sempre dato atto che il ruolo dei sindacati bancari nel nostro Paese è un ruolo eccellente nella tutela delle persone e dell’occupazione. Abbiamo sempre trovato dei punti di incontro. Credo che sia molto importante il ruolo che può svolgere il sindacato, qualunque sia l’esisto di questa operazione o di altre che arriveranno, perché ormai è partito un percorso che porterà a delle integrazioni successive».
Qual è il ruolo giusto della politica? Qual è il limite?
«Nei nostri confronti c’è la consapevolezza del fatto che rappresentiamo il pilastro dell’economia del Paese. Per chi svolge un ruolo di questa rilevanza è interesse che vengano risolti i problemi e che il Paese, nel suo complesso, possa crescere. Nella gestione della nostra banca non potrebbero essere ammesse interferenze: non lo accetterei io, non lo accetterebbe il consiglio di amministrazione. Ma quando il rapporto tra e le istituzioni si basa su una reciproca stima questo non accade».
Quale destino vede per Mps e per un supposto terzo polo?
«Sono convinto che anche Mps, nell’attimo in cui lo Stato esce dall’azionariato, diventa una banca inserita nel contesto di mercato. Diventa totalmente indipendente e deve fare gli interessi degli azionisti».
Sarebbe stupito se Cdp decidesse di entrare in Generali?
«Per gli ingressi di operatori pubblici nelle società private deve esserci un interesse di sicurezza nazionale che lo giustifichi, altrimenti non riesco a capire quale debba essere il motivo. È chiaro che se ci dovesse essere un intervento di questo tipo – e non ne sono a conoscenza – sarà stata fatta una valutazione in termini di sicurezza nazionale. Se non fosse in quest’ottica, ma soltanto per intervenire in partite finanziarie, beh penso che ci siano molti investimenti su infrastrutture e motori di crescita del Paese più importanti. Se invece c’è un tema di sicurezza nazionale e ci sono informazioni che ci possa essere un rischio, allora ben venga questo tipo di intervento. In questo Paese vanno tutelati gli asset strategici, ma in una visione di sicurezza generale, perché le risorse sono scarse e vanno messe dove servono veramente».
Intesa Sanpaolo ha investito 3,5 miliardi in innovazione negli ultimi tre anni e ne investirà entro il 2025 un altro miliardo e mezzo. Qual è l’obiettivo?
«Abbiamo sempre avuto una visione molto attenta all’innovazione e questo è diventato un nostro modo elemento di forza per affermarci come leader in Europa: la tecnologia è alla base della prospettiva strategica del nostro gruppo. Abbiamo assunto oltre 2.000 persone per curare gli aspetti tecnologici della banca e abbiamo investito in grande scala sulla nostra piattaforma tecnologica e sul cloud. Riteniamo che questo elemento ci consenta di ridurre la base di costo dell’azienda, quindi diventare più competitivi, e affermarci anche nei confronti delle fintech. E poi guardiamo anche a sostenere l’innovazione nel tessuto imprenditoriale. Riferendomi agli Usa, c’è una curiosità: siamo l’unica banca europea azionista di SpaceX».
Elon Musk è un generatore di sogni o di incubi?
«Sono convinto che Musk sia una persona che sta contribuendo in modo significativo all’innovazione del mondo. Gli aspetti della persona in sé non sono in grado giudicarli, ma sicuramente sa sia ideare sia realizzare: riuscire a definire la prospettiva dell’idea e poi metterla in pratica è fondamentale e deve essere da insegnamento anche per l’Europa, dove abbiamo una grande capacità di individuare le idee ma poi manchiamo nell’esecuzione pratica».
L’Intelligenza artificiale ridurrà i posti di lavoro?
«È indiscutibile che lo sviluppo della tecnologia sia inevitabile e che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sia un fattore competitivo. Dipende da quale uso viene fatto e da come si rafforza l’azienda attraverso l’uso di questa tecnologia. Le assunzioni si possono focalizzare verso queste competenze. Nel nostro gruppo tutte le uscite sono state volontarie e seguite da piani di assunzioni. Un compito importante è comprendere come creare nuove professionalità e tutelare l’occupazione».
Lei ripete spesso che le aziende che generano grande redditività devono incidere sul sociale. Come?
«Le aziende redditizie devono riuscire a incidere sul sociale negli ambiti in cui operano e aumentare le retribuzioni dei propri dipendenti. Un’azienda che genera la redditività che genera Intesa Sanpaolo, e non siamo solo noi in Italia, non può non porsi il tema di grandi progetti sociali a vantaggio della comunità. Non possiamo aspettarci che sia solo il governo svolgere questo ruolo con le risorse scarse che si trovano a gestire e che, secondo me, stanno gestendo, dal punto di vista del bilancio e dell’approccio rigoroso ai conti pubblici, in modo positivo».