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21 Novembre 2023Cassonetti: la certificazione di un fallimento
21 Novembre 2023*Milano Finanza, Il Fatto alimentare, La Verità
editorialista
di ALESSANDRO TROCINO*
Si potrebbe cominciare chiedendosi perché un gruppo parlamentare decide di astenersi in un voto. Di solito, lo strumento dell’astensione si usa perché non si condivide fino in fondo un provvedimento o le modalità di presentazione dello stesso ma non c’è un’opposizione completa alla materia oggetto della legge. Prendiamo allora il caso della carne coltivata. Vari esponenti del Pd denunciano il divieto come «una grande bufala», «propaganda», «una battaglia puramente ideologica». Decidono persino di votare a favore della pregiudiziale di costituzionalità presentata dal deputato di +Europa Riccardo Magi. Poi però, alla fine, non votano contro, ma si astengono. Sia al Senato sia alla Camera. E così fanno i centristi di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Tra i dem, solo qualche eccezione, per il no al divieto: Enzo Amendola, Bruno Tabacci, Alessandro Zan e la senatrice a vita Elena Cattaneo.
Ma ha senso astenersi su un provvedimento che si considera assurdo e persino incostituzionale? Proviamo a capire il perché di questa apparente e clamorosa contraddizione tra il pensiero e il voto espresso. Diversi parlamentari dem, sotto anonimato, ci rispondono con una sola parola: Coldiretti. Sarebbe stata, cioè, la pressione lobbistica di questa potente organizzazione di categoria a condizionare il voto. Coldiretti rappresenta gli agricoltori. Milano Finanza ha calcolato che, con le sue 340 mila aziende iscritte (il 35 per cento di quelle censite dalla Camera di Commercio, e il 41 per cento delle terre coltivate), porta a casa circa 35 milioni di euro all’anno (l’iscrizione costa 100 euro).
Già feudo democristiano, negli ultimi anni, con le sue battaglie sovraniste e per il made in Italy (anti Ceta e ogm) è stata molto vicina alla Lega, per poi sostenere platealmente Fratelli d’Italia e il ministro Francesco Lollobrigida (tanto che avrebbe suggerito lei il nome del ministero). Ma, scrive Andrea Deugeni su Milano Finanza, «Coldiretti la sua forza di lobbying la indirizza verso tutti i partiti e i policy maker. Uno strapotere bipartisan, finanziario, tecnico, di attrazione, mediatico. Frutto anche del lavoro e delle relazioni dell’attivissimo e longevo segretario generale, Vincenzo Gesmundo. Sessantotto anni, laurea in filosofia, inizi da socialdemocratico, è entrato in Coldiretti nel lontano 1981 e da funzionario ne ha scalato posizioni con stipendi da 2 milioni di euro (nel 2014)». Scriveva il sito indipendente Il Fatto Alimentare nel 2017: «La capacità di indottrinare giornalisti e addetti ai lavori, grazie a 50-60 comunicati stampa mensili indirizzati a gruppi selezionati di operatori dell’informazione, è incredibile. Coldiretti gioca un ruolo sul tavolo della comunicazione che non è paragonabile a quello di altri player».
E il Pd? Ci sono sostanzialmente due partiti su questo tema (come su molti altri). Da una parte c’è il Pd che difende la scienza e la ricerca, che rifiuta di piegare il progresso a interessi di parte e che considera certi slogan, «Frankenstein nel piatto», come una manifestazione aberrante di propaganda contro la verità, a tutela di specifici interessi di settore. Poi c’è un Pd che è vicino al territorio e ai portatori d’interesse, che sono anche portatori di voti. Così, si spiega che il documento di Coldiretti è stato firmato dai quattro governatori del Pd, Stefano Bonaccini in testa (gli altri sono Giani, Emiliano e De Luca). A favore anche sindaci come Antonio Decaro e Dario Nardella. Perché stanno con Coldiretti contro la carne coltivata? Perché difendono non tanto l’ideologia del made in Italy quanto l’economia che gira intorno alla chianina, alla bufala e alla fassona. Tra i dem molto vicini a Coldiretti viene annoverato anche Paolo De Castro, ex ministro dell’Agricoltura e parlamentare europeo. Basti leggere quel diceva nell’aprile del 2023: «Carne sintetica? Il governo fa bene a difendere l’agricoltura»
Sembra un caso evidente in cui gli argomenti razionali e i principi cozzano pesantemente contro gli interessi e lo status quo. Intendiamoci, non ci sarebbe nulla di male se il Pd convintamente argomentasse che la carne coltivata (o sintetica, come la chiamavano con una distorsione lessicale ideologica) è dannosa o pericolosa e volesse vietarla (per quanto sia contro le evidenze scientifiche). Ma così non è, nella maggioranza dei casi. E allora perché astenersi?
Secondo Benedetto Della Vedova, oggetto di un’aggressione dal presidente di Coldiretti Ettore Prandini, è proprio l’organizzazione ad avere la meglio: «Il Pd subisce la lobby della Coldiretti, che ormai ha assunto un potere enorme, con i soldi che gestisce e i sussidi che riceve. Una pressione che riguarda tutti. Ci sono ex ministri come la De Girolamo, che si facevano vedere con il gilet giallo. Nel Pd, evidentemente, avranno pensato: con la Coldiretti è meglio non litigare, che non si sa mai. E poi anche la stampa fa la sua parte: le imprese agricole sono entrate anche nel capitale della Verità, dove un giorno sì e uno no, Prandini ci insulta». Della Vedova si riferisce all’acquisto del 25 per cento del quotidiano La Verità da parte di Federico Vecchioni, ad della B.F. Spa, uno dei colossi dell’agrobusiness italiano.
Visto che dichiarazioni pubbliche chiare mancano sul tema, abbiamo provato a chiederlo ai dem (Camilla Laureti, che ha la delega alle politiche agricole nella segreteria Schlein, chiamata per tutto il giorno, ha scelto di non rispondere, pur essendo stata avvertita. Altri ancora si sono negati). Un esponente che non ha voluto esporsi, spiega che «l’astensione nasce dal bisogno di non alienarsi il consenso del mondo dell’agricoltura». Alessandro Alfieri dice: «Ho seguito poco il provvedimento, ero su altri dossier. Ma so che alcuni deputati erano più sensibili alle ragioni di Coldiretti e quindi si è scelta una via mediana».
Più loquace Silvio Franceschelli, senatore e sindaco di Montalcino. Ce lo indicano anche perché il padre è stato direttore generale della Coldiretti toscana. L’allusione lo irrita: «Lasciate stare mio padre, è andato in pensione nel ’94. Io non ho tessere in tasca e non ho mai subito pressioni». D’accordo, ci spiega però il perché dell’astensione? «Abbiamo voluto evidenziare soprattutto il fatto che si limita la ricerca». Ok, ma la carne coltivata va vietata o no? «Non è questo il punto». Beh, sì, il punto è proprio quello: «Se volete far polemica si può, ma qui il tema è più vasto e riguarda per esempio l’etichettatura». Bene, ma prima di decidere l’etichettatura, bisogna decidere se è giusto produrre, vendere e consumare carne coltivata, no? Su quello come la pensa? «Non sono né pro né contro, il tema è molto più vasto. E poi si ricordi che sono un sindaco del made in Italy». Vero, perché Franceschelli, già presidente della provincia di Siena, è sindaco di Montalcino, rinomata per la salsiccia di cinghiale e molti altri salumi e formaggi. E così torniamo al punto.
Bruno Tabacci è stato eletto nel Pd ma ha una grande storia alle spalle, oltre a un presente da indipendente. È stato uno dei pochi a votare contro il divieto: «L’astensione? Cosa vuole che le dica, alzo le mani, sono sconsolato. Si pensa di stare con l’agricoltura ma la si danneggia. Se la destra rincorre le corporazioni, balneari, tassisti, agricoltori, gli altri non devono fare lo stesso. Le grandi organizzazioni sono sempre esistite. La Coldiretti era una potenza anche all’epoca della Dc. Ma allora la politica guidava le danze, ora è residuale. La sintesi finale la faceva la Dc, oggi la fa Coldiretti».