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7 Dicembre 2023Epistolario A distanza di molti anni esce il primo volume di una innovativa edizione critica delle lettere della santa senese. Le sue folgoranti parole rivolte a pontefici e governanti in un mondo corrotto
di Roberto Barzanti
Era assurdo che l’edizione critica dell’epistolario di santa Caterina da Siena (1347?-1380) fosse rimasta bloccata all’unico primo volume approntato da Eugenio Dupré Theseider, edito nel 1940 dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo.
Conteneva solo 88 delle superstiti 386 missive e adottava criteri non pienamente soddisfacenti. Era un iniziale miglioramento dell’edizione annotata da Niccolò Tommaseo apparsa nel 1860 presso Barbera (Firenze) e successivamente nel 1970 grazie a Piero Misciattelli, ma in modo lacunoso e per più versi incompleto. Nel 2002 un Cd aveva offerto l’Opera omnia della «mistica trasgressiva» avvalendosi di una revisione critica dei testi da parte di Antonio Volpato e Giuliana Cavallini, ma l’utile strumento restava ben lontano dal desiderabile.
Ora finalmente per iniziativa di Massimo Miglio, presidente dell’Istituto in collaborazione con la Provincia Romana dell’Ordine Domenicano e varie Università, il progetto è stato ripreso ed ecco il maestoso primo volume di una nuova magistrale edizione, che renderà possibile leggere le famose Lettere con un tal corredo di dati e commenti codicologici, filologici, linguistici, storici da costituire un affascinante monumento: Caterina da Siena, Epistolario , I, Lettere A-B, coordinato da Antonella Dejure (Isime). Non è qui il caso di dilungarsi sui criteri prescelti e sulle innovazioni raggiunte. In rete è consultabile un complementare database. Dalla comparazione delle raccolte, dalle variazioni pur minime in esse riscontrate, dalla rilevazione di errori o correzioni o stralci o censure dei copisti scaturiscono le genealogie dei codici e la messa a punto attendibile dei testi. C’è chi ha sostenuto — Jane Tylus in Reclaiming Catherine of Siena — che la lingua volgare della letteratura italiana deve i suoi fondamenti non alla triade Dante, Petrarca, Boccaccio, ma ad un quartetto che include la mantellata bianconera. Come stanno le cose se fino a poco fa Caterina era nell’agiografia considerata un’analfabeta in grado di dettare in condizione estatica, ma incapace di leggere e scrivere? Quale ruolo ebbe nella stesura di testi che molto devono alle mediazioni di un’addottrinata cancelleria? Qui risiede l’enigmatica attrattività di un flusso discorsivo e oratorio intervallato da schiette massime popolaresche, impreziosito da metafore e allegorie. Ora si è convinti che Caterina sapesse almeno leggere e taluni si spingono a credere che con fatica avesse appreso a scrivere. Nessun autografo lo comprova, ma non è da escludere una attività di supervisione. Poi ci sono passi che (se non frutto di interpolazioni) sprizzano una personale esultanza di conquista, come quando da Rocca d’Orcia comunica di lettere «scritte di mia mano in su l’isola della Rocca con molti sospiri e abondanzia di lagrime» ed è grata alla Provvidenza per averle dato «l’attitudine dello scrivere a ciò che, discendendo dall’altezza, avessi un poco con che sfogare el cuore perché non scoppiasse».
In effetti la molteplicità di fonti incorporate o sottintese è una buona pezza d’appoggio per dimostrare almeno la pratica della lettura. O tutti i riferimenti li avrebbe ritenuti nella prodigiosa memoria ascoltando le prediche che seguiva fin da bambina in San Domenico? Nella basilica risuonavano omelie di Domenico Cavalca e Jacopo Passavanti, passi della Scolastica o ricavati da diffusissime opere quali la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, nonché brani liturgici o di derivazione francescana. Questo volume raccoglie 76 lettere, seguendo l’ordine alfabetico dei destinatari. Quanto alla lingua, il fine dichiarato, nota Dejure, è stato quello di riconsegnare le lettere al loro «carattere fortemente senese» depurandole da una «marcata fiorentinizzazione». Le trascrizioni non hanno risparmiato aggiustamenti e censure. La sintassi che ne risulta richiede ascolto. Quasi fosse eco immediata di una coinvolgente voce: guizzi e ritmi paiono sortire con folgorante immediatezza dalla bocca della donna. L’infervorata giovane non va per le spicce e si rivolge a discepoli e pontefici, a ecclesiastici e governanti. Ad un potente Salimbeni raccomanda: «Adunque lo spregiare del mondo è l’onore e la ricchezza del’huomo, ma gli stolti e matti non cognoscono vero honore, ma reputanlo tutto el contrario». Le metafore hanno un’indelebile incisività. Per proteggere la città amata occorreva «ponere a guardia el cane della conscientia», ed era essenziale scegliere: «E tollete el coltello dell’hodio e dell’amore, cioè hodio e dispiacimento del vitio e amore della virtù» per far sì che l’«occhio dell’intellecto» faccia distinguere il Bene comune dal Male diabolico. L’amor proprio è alla radice di un’egoistica ferocia o da una ricerca dell’agio da estirpare ovunque. La «reformazione» della Chiesa in primo luogo doveva essere riforma morale e arrecare un’universale pacificazione. Dura è l’accusa contro la corruttela delle gerarchie, «che ad veruna cosa attendono se none in mangiare e in belli palagi e in grossi cavalli. Oimè, che quello che Cristo acquistò in su el legno de la croce si spende con le meretrici!». L’anima è «uno arbore» e può essere tenuto in vita dal «vasello del cuore», se lo nutre come «una rugiada e una piova che inacqua la pianta dell’arbore e la terra della vera humilità». Si obietterà che restituire alle esortazioni di Caterina la loro impervia arcaicità, magari normalizzata in qualche parte, ostacola una vasta comprensibilità. Però è attraverso questa scrittura turgida e immaginosa, ispida e pacata, solenne e affabile che s’intende l’impetuosa autenticità di un messaggio furente di passioni e di femminile dolcezza. Ad un’abbadessa sussurra: «A noi, karissima madre, conviene fare come fa il fanciullo, el quale, volendo prendere il lacte, prende la mammella della madre e mettesela in bocca». Così dal «pecto di Cristo crucifixo» discende il nutrimento del corpo e della spirito. La parola si fa carne e agisce nel mondo sconvolto.
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