«Io so’ Romeo, er mejo der Colosseo!« è con queste indimenticabili parole che il fascinoso e randagio gatto Romeo si presenta cantando alla raffinata e casalinga gatta Duchessa ne Gli Aristogatti, capolavoro Disney tra i miei preferiti assieme a La Sirenetta, ma quella originale, quella che adesso è considerata vecchia, datata e stereotipata (questione che cerco di non prendere troppo sul personale dato che la Ariel del famoso cartone animato e io siamo praticamente coetanee). Gatti, dicevo, tanti, tantissimi gatti. Gatti di casa o da compagnia, gatti randagi o inselvatichiti, gatti selvatici, gatti vichinghi, gatti di razza e gatti mummificati, sono davvero tante le Duchesse e tanti i Romeo che miagolano, fanno le fusa, saltano e graffiano le pagine dell’ultimo libro di Jonathan Losos, nelle alterne vesti di biologo e gattaro, per esaminare il complesso e spesso sorprendente percorso felino dalla savana ai nostri divani.
Ora, forse voi non lo sapevate, ma gli scienziati dei gatti soffrono di un caso grave di invidia del cane, e con qualche ragione: i cani tendono a essere preferiti dagli scienziati sperimentali e dai giornalisti che ne raccontano le gesta. Tuttavia, gli studi sui gatti non vanno sottovalutati, considerando i risultati che possono fornire, al di là degli ambiti caratteristici della ricerca canina, per la risoluzione dei tanti misteri felini che hanno perseguitato generazioni di ailurologi (lo so, suona strano, ma gli scienziati dei gatti dovrebbero chiamarsi così, dal greco aílouros «con una coda che si agita») . Misteri che partono proprio dal dilemma gattesco per eccellenza, in quanto Felis catus (il gatto domestico) non è un’entità monolitica, bensì l’esito di un processo evolutivo a diverse velocità, con la maggior parte dei mici che assomiglia alla sua versione ancestrale e una minoranza che ne differisce radicalmente. Processo evolutivo che, non dimentichiamocelo, ci ha coinvolto e continua a coinvolgerci, in modo più o meno intenzionale: se per migliaia di anni i gatti hanno tenuto le redini evolvendosi a modo loro per vivere attorno a noi, negli ultimi 150 anni circa c’è stato un passaggio di zampa e siamo stati noi a creare nuove razze, spingendo l’evoluzione dei gatti, in certi casi, con poca accortezza.
La cornucopia di Felis catus in esposizione alle mostre feline è la testimonianza di come si possa dipingere con la genetica o più prosaicamente capitalizzare sulle mutazioni, uno sfarzo di selezione artificiale che per alcune razze si manifesta in caratteristiche più estreme di qualsiasi cosa l’evoluzione naturale abbia prodotto in decine di milioni di anni. È il caso dei gatti persiani di oggi per i quali gli allevatori hanno spinto verso un muso piatto con sostanziale eliminazione del naso. La risultante riconfigurazione del cranio porta a un gran numero di difficoltà dentali e respiratorie oltre a gravi anormalità nel cervello. Non dissimile è la sorte della razza Scottish Fold che sconta la tenerezza delle adorabili orecchie ripiegate al caro prezzo di una mutazione che colpisce lo sviluppo delle ossa e della cartilagine di tutto il corpo.
Dipinti genetici a parte, che i gatti domestici vivano in simbiosi con noi è cosa nota e che una qualche forma di comunicazione interspecie sia in atto ve lo confermerà chiunque abbia un gatto in casa. Sappiamo che i gatti miagolano di più a noi che ad altri gatti, quindi stanno cercando di dirci qualcosa, il problema è: che cosa? Qualsiasi padrone vi dichiarerà oltre ogni ragionevole dubbio di capire benissimo il suo gatto, di riconoscerne i miagolii e le sfumature di intonazione (la differenza cruciale tra un miaaaaaao e un miauuuuu, per intenderci) e questo potrebbe sembrare un delirio da gattari, ma non lo è perché, si scopre, pur non essendoci un linguaggio gattesco universale, ogni gatto ha un «miacobolario» privato che condivide con i suoi umani. Se pensate si tratti solo dell’ennesimo esempio di manipolazione felina ai nostri danni, potreste avere più ragione di quanto vi aspettiate poiché i dati sui miagolii e sulle fusa mostrano come i gatti domestici abbiano modificato evolutivamente questi metodi di comunicazione per riuscire a parlarci meglio ed estorcerci più croccantini.
I padroni potranno sostenere di capire perfettamente i loro gatti, ma non possono certo dirvi con altrettanta sicurezza che cosa facciano tutto il giorno, quando sono soli o si avventurano fuori casa. Al di là della, pur sempre lecita, morbosa curiosità, conoscere gli spostamenti dei nostri animali domestici, in particolar modo se predatori esperti come i nostri gatti, è importante per comprendere e valutare il loro impatto ambientale. Così, grazie a pratici zainetti, i gatti domestici partecipanti al progetto Cat Tracker sono stati equipaggiati con unità Gps che ne hanno tracciato gli spostamenti: giardini visitati, strade attraversate, foreste esplorate, doppi giochi, scappatelle notturne e tradimenti. Oltre ai dati sugli spazi vitali dei gatti da compagnia, è importante acquisire anche informazioni sui movimenti dei gatti randagi che vivono all’aperto, e più aperto dell’outback australiano c’è poco. Qui lo sviluppo di microcamere portatili ha fornito ai ricercatori filmati dalla regia molto baffuta e persino scenografici lungometraggi di gatti saliti in collina seduti per ore a guardare il tramonto stile I l Re Leone, forse per scrutare zone di caccia, magari più poeticamente per ammirare dall’alto tutto il mondo che sono riusciti a conquistare.
Jonathan B. Losos
Come i gatti si sono evoluti
per conquistare il mondo
il Saggiatore, pagg. 400, € 28