Cooperative fuori dalla giunta della Camera di commercio. Dubbi sul «turismocentrismo»
2 Agosto 2024MATTEO ADDABBO, Organ Trio
2 Agosto 2024Principi costituzionali e normativa statale
Tema di grande attualità e di estremo interesse è quello dei “centri storici”, per l’importanza che essi rivestono non solo sul piano urbanistico, ma anche con riguardo a quella molteplicità di valori primari che trovano sede nel centro storico: accanto al valore monumentale-artistico ed a quello storico, l’interesse socio-ambientale, quello igienico-sanitario, perfino quello della sicurezza e dell’ordine pubblico.
Pertanto, la questione dei centri storici è la questione di una molteplicità di interessi che esigono tutti di essere soddisfatti.
Tali considerazioni spingono a guardare al centro storico, sotto un’ottica globale di gestione ottimale del territorio la cui tutela deve conciliare due esigenze fondamentali diverse tra loro: quella di conservazione delle antiche memorie e quella di trasformazione del territorio per adattarlo alle necessità di una società sempre più evoluta.
E’ ormai ferma convinzione considerare i centri storici come “zone” da rivitalizzare e funzionalizzare nel contesto della pianificazione generale del territorio, sia a fini prettamente urbanistici, sia a fini socio-economici e di sviluppo. In altri termini, oggi, i centri storici, più o meno estesi, cessano di essere visti come oggetti di conservazione statica, per diventare “opere in movimento, tessuti non mummificati, beni vitali che devono essere protetti e non semplicemente conservati” [1].
La tutela dei centri storici, in quanto beni culturali, trova fondamento nell’art. 9, comma 2, della Costituzione, il quale sancisce che “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”; norma che, anche per la sua collocazione tra i principi fondamentali, attribuisce alla tutela di questi beni un valore “superiore”, idoneo a qualificare, orientandola, la stessa azione dei pubblici poteri.
In altre parole, la tutela dei beni culturali, dovrebbe ritenersi un obiettivo preminente rispetto ad altre finalità pubbliche rilevanti costituzionalmente, ma non riconducibili ai primi dodici articoli.
Fino ad oggi il legislatore ha preso in considerazione i centri storici solo sotto il profilo urbanistico, “ignorandone le caratteristiche che fanno di loro soprattutto dei beni culturali” [2], mettendo da parte l’indirizzo emerso, in sede di riordinamento del settore, in seno alla commissione Franceschini (istituita con la legge 26 aprile 1964, n. 310) che, nella prima metà degli anni ’60, aveva fatto il punto sulle dolorose condizioni in cui versavano le nostre più importanti città storiche dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale, tenuto conto, quasi sicuramente, della c.d. “Carta di Gubbio”.
Quest’ultima faceva riferimento ad alcuni principi in materia di salvaguardia e risanamento dei centri storici, i quali mettevano in rilievo come fosse stato sbagliato, fino a quel momento, prendere in considerazione il singolo monumento, enucleandolo dal complesso urbano, quando occorreva considerarlo un tutt’uno con il suo contesto di appartenenza.
La commissione Franceschini, facendo propri i principi emersi dal convegno di Gubbio, ne formulò di ulteriori, ai quali avrebbe dovuto attenersi il legislatore futuro, mettendo in rilievo come per la tutela dei centri storici ci si dovesse orientare non solo nel senso di mantenere le caratteristiche costruttive esistenti, ma si dovesse operare anche attraverso interventi di consolidamento, restauro, risanamento igienico-sanitario che ne migliorassero la vivibilità. Inoltre la commissione sottolineò anche la necessità di regolamentare il traffico affinché la circolazione indifferenziata dei veicoli non ne alterasse l’equilibrio e non ne imbruttisse il tessuto storico-urbano.
Peraltro tali direttive fino ad oggi non sono state ancora recepite in una normativa specifica di settore da parte del legislatore nazionale. Non che ciò costituisca una lacuna da colmare al più presto, poiché si ritiene che una disciplina unitaria non sia nemmeno ipotizzabile data la varietà di problemi che i centri storici presentano (degrado, criminalità, traffico, inquinamento, abbandono etc…).
Dall’evoluzione della legislazione generale in materia di centri storici possono ricavarsi diversi momenti.
Un primo momento in cui si punta alla salvaguardia e alla tutela “passiva” [3] dei beni culturali: si considera la mera conservazione del singolo immobile al di fuori della tutela del complesso ambientale in cui esso è inserito. E’ l’indirizzo delle cc.dd. “leggi Bottai”, la legge 1 Giugno 1939, n. 1089 (sulla tutela delle cose d’interesse artistico e storico) e la legge 29 Giugno 1939, n. 1497 (sulla protezione delle bellezze naturali) [4].
Il secondo momento è rappresentato dalla legge-ponte sull’urbanistica (legge n. 765/67), che ha modificato la legge urbanistica fondamentale 17 agosto 1942, n. 1150. L’art. 17, in particolare, introduce due concetti fondamentali in merito alla tutela e valorizzazione dei centri storici:
– l’esigenza di considerare il centro storico nell’ambito della pianificazione urbanistica generale;
– la fissazione di standards specifici per i centri antichi, che di norma prescrivono la conservazione delle densità edilizie e fondiarie preesistenti, il divieto di superare le altezze degli edifici già esistenti, e così via.
Inoltre, la stessa norma (art. 17), al comma 5, si preoccupa che i centri storici possano subire delle irreparabili manomissioni in assenza di piani generali e stabilisce che in tale ipotesi sono consentite “esclusivamente opere di consolidamento e restauro, senza alterazioni di volumi” e che le eventuali aree libere sono inedificabili fino all’approvazione dello strumento urbanistico generale.
Peraltro, la legge-ponte si limitò, nel tracciare la disciplina urbanistica per i centri storici, a ripresentare un sistema di salvaguardia analogo a quello della vecchia tutela di impronta culturale delle “leggi Bottai”.
E’ opinione comune che la tutela introdotta dalla legge n. 765/67 rifletta i caratteri peculiari della politica urbanistica del periodo, preoccupata di regolare principalmente (se non soltanto) gli interventi nelle zone di espansione dell’abitato: essa, quindi, per il tessuto edilizio e abitativo preesistente nei centri storici, non poteva che proporre una tutela conservativa, incentrata su uno “strumentario di blocco” [5] degli interventi.
Terzo momento di evoluzione della legislazione generale sui centri storici può rinvenirsi nel titolo IV della legge 5 agosto 1978 n. 457 (sul “recupero del patrimonio edilizio esistente”), che ha introdotto i “piani di recupero”.
Questa legge non si occupa in maniera specifica dei centri storici: non distingue, infatti, il recupero e la rivitalizzazione dei centri storici dagli altri interventi di recupero, ma si limita a prevedere, riduttivamente, che “restano ferme le disposizioni e le competenze previste dalle leggi n. 1089/39 e n. 1497/39” (art. 31, ult. comma).
Peraltro il titolo IV della legge richiamata ha avuto il merito di costituire il primo tentativo di adattamento del sistema complessivo della pianificazione, costruito sullo stampo dell’urbanistica dell’espansione, alle nuove necessità tracciate dal recupero. Inoltre, esso indicò, determinò e classificò gli interventi edilizi sull’esistente che, fino a quel momento, non erano normativamente differenziati dalle nuove edificazioni.
Quindi, le caratteristiche peculiari degli interventi nei centri storici sono state assorbite dalla più ampia e generica nozione di recupero del patrimonio edilizio esistente.
1 – continua