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Perché parlare di welfare?
Abbiamo deciso di affrontare i tanti problemi del welfare perché consideriamo decisive le scelte politiche che si faranno nel prossimo futuro in relazione alla spesa pubblica e alla sua articolazione. Un tema squisitamente politico che fa emergere la nuova ideologia della destra, come risulta già evidente dalle scelte operate dal governo guidato da Giorgia Meloni. Quello che una volta era un tema tipico della politica, insieme alla lotta contro le diseguaglianze (per la sinistra), viene oggi rimesso fortemente in discussione sia dal punto di vista teorico, sia soprattutto dal punto di vista delle policy.
Una costruzione che traballa
Crisi economiche ricorrenti e pandemia, insieme alle profonde trasformazioni sociali e culturali in corso (a partire da quelle che riguardano il lavoro), stanno minando infatti le fondamenta degli assetti pensati e realizzati dai padri storici del welfare. Oggi sono in discussione i paradigmi e le scelte concrete di allocazione delle risorse, mentre l’antico “compromesso socialdemocratico” sembra venire meno ed è comunque messo in discussione dalle forti tensioni dovute ai fenomeni che attraversano tutte le società: invecchiamento progressivo della popolazione, immigrazione, rivoluzione digitale, lavoro povero e precario dei giovani. Ma anche dalle ideologie della destra che ormai pensa a un welfare “selettivo” per i “meritevoli”, non più universale. Se sei povero o disoccupato è colpa tua. Lo Stato non ti deve aiutare.
I quattro temi
Parlare di welfare significa dunque parlare della vita delle persone, e il termine è diventato quasi un sinonimo di politica. Per non perderci in un discorso che inevitabilmente sarebbe diventato troppo ampio e onnicomprensivo abbiamo proposto ai nostri ospiti di ragionare intorno ai seguenti filoni:
1) Il modello di welfare e previdenziale italiano basato sulla contribuzione dei lavoratori è ancora sostenibile? O dobbiamo riprogettare tutti i sistemi sulla base di un finanziamento fiscale generale?
2) Le politiche messe in campo dal governo in carica sembrano basate sull’assunto di fondo secondo cui non può più reggere un welfare universale (diritti uguali per tutti), ma che si può invece ripensare uno Stato sociale che limiti la povertà e aiuti le famiglie (tradizionali).
3) Fondi europei e Piano di ripresa e resilienza potrebbero essere l’occasione per rilanciare la sanità pubblica (e territoriale) dopo i tragici insegnamenti della pandemia, ma non sembrano queste le intenzioni. Si darà al contrario più spazio alla sanità privata e alle assicurazioni individuali, dividendo ulteriormente l’Italia anche sulla base dell’autonomia differenziata?
4) Per quanto riguarda una sinistra che non vuole rinunciare a una prospettiva di giustizia sociale e di socialismo, quanto pesano le scelte fatte negli anni passati in merito ai fondi pensione, ai sistemi complementari di previdenza e all’assistenza sanitaria, nonché al welfare aziendale? Per tutelare i lavoratori si sono introdotte nuove diseguaglianze “interne”?
In questo articolo affronteremo solo i primi due temi, rimandando a una seconda puntata la parte relativa alle proposte e al futuro.
Come si finanzia il welfare e come si sta trasformando?
Maurizio Franzini
Rispetto al problema del finanziamento dei sistemi di welfare, bisogna prima di tutto tenere conto che una componente enorme del finanziamento del sistema previdenziale deriva dai contributi dei lavoratori. E già da questo fatto derivano molti problemi. Basti pensare che la “base” da cui devono arrivare questi contributi si inaridisce progressivamente. Abbiamo infatti avuto il lavoro che conta meno sul reddito nazionale complessivo, l’indebolimento progressivo dei lavori, che quindi contribuiscono poco all’incremento del risparmio previdenziale. Le conseguenze di questo sono almeno due: la prima riguarda le pensioni di oggi e il loro finanziamento. La seconda riguarda la debolezza dei soggetti che versano i contributi e che quindi (siccome la pensione è contributiva) arriveranno al pensionamento con assegni molto bassi. Si possono, già da oggi, prevedere pensioni troppo basse e quindi la creazione di un numero sempre più consistente di nuovi poveri.
Intervento di Maurizio Franzini: “Una base piccola piccola“
Si tratta comunque di due problemi che devono essere affrontati in modo separato. Il finanziamento della spesa pensionistica vigente richiede inevitabilmente di allargare la base imponibile attingendo alla fiscalità generale o anche ad altre forme di entrate. Possiamo per esempio ricordare quella che era stata definita la “tassa sui robot”. Si trattava di una imposta che era stata pensata per le aziende che usano l’automazione al posto del lavoro vivo degli operai. Anche con meno lavoro si genera comunque valore aggiunto, che deve diventare fonte di finanziamento per i sistemi previdenziali e di welfare. Ma al di là di come lo si voglia chiamare, abbiamo un problema di ampliamento della base imponibile. Naturalmente si tratta anche di rendere meno deboli i salari su cui vengono applicati i contributi, a differenza di quello che succede oggi. Concludendo queste prime considerazioni: abbiamo un problema molto serio di finanziamento dei sistemi di welfare dovuto a molti fattori, prima di tutto alla mostruosa evasione fiscale e contributiva che genera minori entrate. Abbiamo poi un problema di intervento strutturato e ben modulato su tutti gli aspetti che ho appena trattato, e che invece non sembra sia all’orizzonte.
Intervento di Maurizio Franzini: “I due problemi del welfare”
“Pagheremo domani i costi dei tagli di oggi”
Enrica Morlicchio
Una cosa che vorrei sottolineare riguarda il fatto che spesso si pensa alla spesa sociale come a una spesa improduttiva, ovvero che non produce benefici in termini economici. E invece bisognerebbe cambiare il tipo di approccio, perché tutti i tagli che si fanno alla spesa sociale diventano poi costi aggiuntivi in futuro, perché se noi facciamo dei tagli all’istruzione e alla scuola si tradurrà nel fatto che avremo una forza lavoro meno qualificata, oppure che ci dovremo confrontare con problemi di analfabetismo digitale (che è un fenomeno molto importante anche per gli adulti). Così come se non si interverrà sulle scuole a tempo pieno si avranno effetti molto negativi. Di recente ho visto un video della Svimez nel quale si vedeva un bambino che vive in un contesto di scuola a tempo pieno, e un bambino che invece vive in un contesto privo di scuola a tempo pieno. Ebbene, il rischio di obesità di questo secondo bambino napoletano era molto più alto rispetto al primo. Dunque i tagli alla scuola si traducono poi, nel tempo, in costi sociali (e sanitari) aggiuntivi. Ma ovviamente i governi si muovono sempre in un contesto politico che guarda solo al presente e alle scelte che accontentano i loro elettorati di riferimento. Nessuno riesce ad avere una visione di lungo periodo. C’è sempre la coperta che si tira di qua e di là, con il risultato di lasciare scoperte voci di spesa molto importanti.
Intervento di Enrica Morlicchio: “Rischio obesità, una piccola storia”
Aumentano i lavoratori poveri e diminuisce la platea contributiva
Stefano Cecconi
Non c’è dubbio che la spesa previdenziale sia la voce di maggior peso nella complessiva spesa per il welfare del nostro Paese. Ed è comprensibile, considerando la quantità di persone coinvolte e l’entità della spesa. Paradossalmente è anche la voce più in crescita. Il peso della previdenza è destinato ad aumentare a causa della trasformazione demografica con l’incremento di persone anziane non più in età lavorativa e la contemporanea riduzione delle persone in età lavorativa o pre-lavorativa. Si tratta di un paradosso, perché contemporaneamente a questo assistiamo a un impoverimento della capacità dei singoli lavoratori di contribuire alla costruzione del loro percorso previdenziale: per cui il futuro di tantissime persone che oggi hanno un lavoro povero sarà quello di avere una pensione povera da anziani. Questa situazione, a prescindere dalle volontà e dalle politiche, configura un risultato che è già scritto: o le persone verranno abbandonate al loro stato di povertà assoluta (e stiamo parlando di milioni di persone), oppure a un certo punto lo Stato (come diceva monsignor Giovanni Nervo, fondatore della Caritas), dovrà scegliere tra i copertoni bruciati nelle strade e un intervento di fiscalità generale che garantisca la sopravvivenza e condizioni dignitose di vita per tutte queste persone.
Intervento di Stefano Cecconi: “Il paradosso delle pensioni”
Assistere solo i “meritevoli”?
Maurizio Franzini
Lo Stato sociale che abbiamo oggi è già fortemente selettivo e non universalistico. Ma bisogna stare attenti a come si utilizza il termine “selettivo”, perché nella interpretazione prevalente “selettivo” vuol dire che introduci dei requisiti legati al reddito per accedere a dei servizi che tengono fuori quelli che hanno un reddito un po’ più alto dei tetti fissati. Si preservano i più deboli e si escludono tutti quelli che non sono considerati così deboli. Ma per come si stanno mettendo oggi le cose sembra che si stia andando nella direzione di escludere anche i più deboli. Nello stesso tempo, è evidente che sia difficile mettere in campo un sistema che si rifiuta di dare soldi a chi sta peggio. Questo può avvenire attraverso meccanismi di selezione non tanto sull’accesso a servizi tipo la sanità, quanto nell’accesso a sussidi che non sono basati sul reddito, ma su altre condizioni, come per esempio (come abbiamo visto per il reddito di cittadinanza) sul criterio di “occupabilità”. Nelle modifiche del reddito di cittadinanza si è andati a distinguere tra chi è occupabile e chi non lo è, con dei criteri che a me paiono molto confusi. Chi è “inoccupabile” prenderebbe di più di chi è “occupabile” (concetto generico basato sui famigliari a carico o elementi di questo genere). Si mette in campo, dunque, una modalità di esclusione dai benefici di persone che sono deboli sulla base, ma con il preconcetto introdotto dal legislatore e decisore politico che comunque, pur essendo deboli, hanno la possibilità di trovare lavoro, quindi non meritevoli del sostegno pubblico.
“Una discriminazione molto forte”
Si tratta di una discriminazione molto forte, ed è anche una novità perché la selettività di cui si parlava nel dibattito finora era molto diversa, e riguardava l’asticella da mettere per determinare il diritto. Anche se si guarda alle modalità di erogazione dei vari bonus (da quello psicologico agli altri) sono tutti basati sull’Isee, ma con Isee diversi a seconda del bonus. Una cosa difficile da comprendere. Ma i criteri scelti per il reddito di cittadinanza sono legati all’ideologia che presuppone il taglio per chi può lavorare, e quindi non merita nessun sostegno.
La povertà come colpa
In questo contesto emerge un’idea non tanto di welfare selettivo, quanto di povertà come responsabilità individuale: è questa la filosofia che si utilizza e sono questi gli argomenti per dire che non si deve dare a chi non lo merita, come giustificazione per non dare a tanti che invece ne avrebbero avuto bisogno. Non si dà a qualcuno che se ne approfitta per togliere ai moltissimi che invece ne hanno diritto. Rispondendo alla domanda, dico che noi siamo già in un regime di welfare selettivo. Quella che si sta introducendo ora è l’esclusione dei più deboli sulla base di argomentazioni ideologiche che non sono neanche riconducibili a una logica di selettività del welfare.
Intervento di Maurizio Franzini: “Se sei povero è colpa tua”
Immigrati: invece di bloccarli andrebbero chiamati
Stefano Cecconi
La grande questione riguarda l’allargamento della platea contributiva, perché il destino delle pensioni e dei pensionati non dipendono soltanto dai percorsi individuali, ma dipende dal numero di persone che versano i contributi. Se non hai una platea adeguata che contribuisce tramite il fisco e tramite il versamento dei contribuiti da lavoro alla costruzione dei sistemi di welfare non se ne esce. E qui entra in gioco la questione dell’immigrazione. Assistiamo a una politica che non solo è disumana, ma che risulta anche autolesionista dal punto di vista degli interessi del Paese. Il blocco dell’immigrazione fa male all’economia, mentre è miope la politica che impedisce l’aumento intelligente del lavoro e la conciliabilità tra tempi di lavoro e di vita (in particolare delle donne). Un’assistenza più strutturata delle persone non autosufficienti permetterebbe più libertà. C’è quindi un mix di interventi da mettere in campo, una sfida che rende affascinante occuparsi di welfare.
Intervento di Stefano Cecconi: “Il grande sbaglio sugli immigrati“
Quel che resta dell’idea del welfare universale
Enrica Morlicchio
In realtà il sistema di welfare italiano è un sistema misto. Noi abbiamo il sistema sanitario e il sistema dell’istruzione che sono sistemi universalistici, anche se c’è stato negli ultimi anni un grosso incremento delle tasse universitarie. Ma nonostante questo, rispetto ad altri sistemi universitari (Stati Uniti, Inghilterra, ecc.), il nostro sistema dell’istruzione rimane un sistema universalistico. Discorso analogo per il sistema sanitario. Poi abbiamo invece il sistema pensionistico, che è su base contributiva. Infine, abbiamo il grande settore degli interventi sociali per le famiglie e i poveri dove si applicano misure fortemente selettive. Quindi siamo di fronte a un sistema misto dove convivono un sistema selettivo (secondo la definizione di Richard Titmuss), un modello universalistico (come quello scandinavo) e un modello contributivo e occupazionale per le pensioni. Questo configura l’anomalia italiana. C’è il rischio però che l’Italia si sposti sempre di più verso un modello selettivo che superi il modello universalistico originario del welfare.
Intervento di Enrica Morlicchio: “L’anomalia italiana“
Si conclude qui la prima parte del forum sul welfare. In un secondo articolo daremo conto delle proposte dei nostri interlocutori che hanno fatto seguito a queste analisi crude, che abbiamo cercato di illustrarvi. Magari non vedremo il sol dell’avvenire, ma qualcosa ancora si può fare.