La faccia pulita, la cravatta, la giovane età di Jordan Bardella non contano. Del resto, le condivide con il delfino del macronismo Gabriel Attal. Gli ideali contano ancora meno. Ne è convinto Christophe Guilluy, di formazione geografo. “I leader del Rassemblement national non hanno alcun talento particolare. Le classi popolari e i ceti medi semplicemente usano lo strumento più radicale a disposizione per contestare il sistema. Oggi è il Rn, domani troveranno qualcos’altro”. Un passato da militante comunista negli anni 80, Guilluy è l’autore del discusso libro No society: La fin de la classe moyenne occidentale, e ha teorizzato che il movimento dei gilet gialli fosse l’espressione di una “Francia periferica” impoverita, senza rappresentanza politica e fuori dai radar del mainstream culturale, che protesta contro le metropoli che accumulano ricchezza. “È già successo con il referendum sulla Brexit o con Donald Trump. La gente sceglie l’opzione più lontana dall’establishment non perché creda che risolverà i loro problemi, ma per esprimere questi problemi, per testimoniare di esistere”.
Però diverse indagini rilevano una adesione degli elettori al programma di Bardella. E gli analisti sottolineano il ritorno del razzismo…
I movimenti di protesta oggi partono dal basso per arrivare in alto. Non ci sono più leader politici che “influenzano” il popolo, la maggioranza non vota per convinzione ideologica. Spesso si dipingono gli elettori del Rn come bianchi impoveriti, white trash. Non è così: la Francia è già multietnica e multireligiosa, in periferia. Sarebbe un errore anche presentare questa protesta come un’opposizione intrinseca tra popolo ed élite. Le persone non sono contro le élite culturali o politiche in generale: sono contro le élite di oggi. Prima le élite interagivano con le classi popolari, oggi gli hanno voltato le spalle. È un isolamento anche intellettuale: gli ambienti accademici non capiscono più quello che succede fuori Parigi.
Dai Gilet gialli al voto a Rn di oggi non è cambiato nulla?
La mappa dei voti a Rn e i gilet gialli hanno la stessa geografia. La protesta, questa ondata populista, è un movimento carsico che emerge quando può e assesta come può dei colpi contro l’establishment. È slegato dalla politica tradizionale ed è sempre più autonomo nelle sue valutazioni. Gli appartenenti alle classi popolari e medie non ascoltano più i dibattiti televisivi, non leggono i giornali. Fanno da soli, partendo dalle loro condizioni di vita. Vedono la ricchezza concentrarsi in città diventate troppo care per loro, per la gentrificazione. È un processo iniziato negli anni 80, con lo sviluppo di un modello economico incentrato sulla metropoli come polo di produzione di ricchezza attraverso il terziario.
Il deputato di Lfi François Ruffin ha detto che siamo arrivati a questo punto per colpa di come Macron ha risposto al movimento dei gilet gialli. È d’accordo?
Macron non ha ascoltato nessuna delle richieste dei gilet gialli. Ha risposto come un tecnocrate, cercando di disinnescare le istanze con il “grande dibattito nazionale”, frammentare le richieste. L’arma del neoliberismo è segmentare la società, dividerla per categorie da pubblicità: i giovani, le donne, i migranti. Può funzionare per un po’, ma poi la protesta esplode di nuovo.
La sinistra francese parla molto di classi popolari e si sforza di cercare voti nelle banlieue, anche parlando di Gaza. Ha avuto successo?
Dal 2001 dico che se la sinistra vince a Parigi vuol dire che ha perso il popolo. Ha uno zoccolo elettorale di piccola borghesia urbana e studentesca, non per forza ricca ma che vive nella bolla culturale metropolitana. È un gruppo di elettori solido, ma molto concentrato. E il grande problema è che le classi popolari non vivono più lì. Le metropoli sono il cimitero della sinistra, mostrano che non rappresenta più l’insieme delle categorie modeste. Infatti i voti al Nouveau front populaire non superano un terzo dell’elettorato, quando prima degli anni 80 il consenso per i partiti di sinistra poteva arrivare al 50%. Su Gaza… nella banlieue dove lavoro, a Seine-Saint Denis, il tema non è centrale: trovi francesi di origine magrebina che chiedono una stretta sui flussi migratori. E l’astensione è molto alta.
Cosa resta nel 20% del partito di Macron?
I quartieri ricchi di Parigi e i pensionati, che sono la sua base elettorale dell’inizio. La strategia di Macron non è folle: guadagna tempo e forse accetterà di governare con la sinistra. Ma l’ondata di contestazione continuerà, perché gli indicatori economici peggiorano.