Opinioni a confronto
Carlo Bertini
Roma
È vero che già alle politiche il principale protagonista (dopo la prima premier donna) è stato il crollo dell’affluenza, è vero che il trend si ripete ormai da anni. Ma è pur vero che in altre epoche ci furono dei tracolli, come in Emilia Romagna, dove nel 2014 dopo le dimissioni di Vasco Errani votarono il 37 e passa per cento degli elettori, con un calo di 30 punti rispetto alle regionali del 2010, poi recuperato nel 2020. «Ma questo è un dato bassissimo – nota l’analista esperto di comunicazione politica, Giovanni Diamanti – un dato che in un’elezione con la fine già annunciata, può dare qualche sorpresa in più: con un’affluenza più bassa è difficile che quanto previsto nei sondaggi, avvenga allo stesso modo. Il centrodestra è nettamente favorito, se c’è qualche incognita in più dovuta al bacino dei votanti, è il centrosinistra che può provare a sperare». Anche se rispetto ad un distacco ampio come punto di partenza, «la cosa negativa per il centrosinistra è che l’affluenza è molto bassa anche a Roma. Ma la correlazione tra affluenza e voto ai partiti in base alle diverse zone è ardua, non sappiamo chi va e chi no e possiamo solo fantasticare». Dunque il dato iniziale è che sotto un profilo strettamente tecnico, «l’affluenza molto bassa rende i sondaggi più suscettibili a variazioni. E la speranza del centrosinistra è che si rafforzi l’affluenza nelle città». Tre, secondo Diamanti, le ragioni del calo di partecipazione: «una campagna elettorale poco visibile mediaticamente, elezioni che scaldano poco il cuore, candidati governatori meno rilevanti dei candidati sindaci».
La previsione di Lorenzo Pregliasco di You Trend è che «saremo sotto il 50%, di gran lunga il dato più basso in queste due regioni, anche perché il risultato del 2018 non è paragonabile visto che ci fu l’election day il 4 marzo». Anche qui il motivo è da ricercare nel «disinteresse notevole per questa campagna, che si lega al fatto che gli elettori percepiscono di aver votato recentemente per le politiche e non tornano una seconda volta con facilità». Ma c’è di più, quella delle regionali poco partecipate «è una tendenza sistemica, le persone faticano a capire in che modo il loro voto incida. E alle regionali in genere l’affluenza è più bassa che alle altre elezioni».
Roberto Weber, presidente dell’istituto demoscopico Ixé, non è affatto sorpreso infatti, da questo «dato atteso», partendo dal quale svolge una riflessione di impronta più marcatamente sociologica: «Oggi viviamo in sistemi di democrazia a basso tasso di legittimazione, dove è più debole il richiamo al “diritto e dovere” di votare: in ogni caso non credo che la scarsa affluenza inciderà sulla distribuzione dei consensi finale». Alla fine i risultati confermeranno le previsioni, forse il centrodestra uscirà vincente ma politicamente più indebolito in Lombardia, senza altre sorprese. La vera questione – dice Weber – è che quando scivoliamo vicino al 50 per cento di partecipazione c’è un problema».
Anche il politologo e docente della Luiss, Roberto D’Alimonte, non si scompone più di tanto: «Dobbiamo aspettare il dato finale, domenica è stata una bella giornata in Lazio e Lombardia e tanta gente è andata in giro». L’elemento portante di questa disaffezione per D’Alimonte è determinato dalla scarsa competizione messa in campo dagli schieramenti: «Perché questo voto è così scontato da mesi, si sa che vincerà il centrodestra e scatta un meccanismo di astensione, quasi automatica e inerziale, una sorta di sindrome da astensionismo, dovuta anche al fatto che i candidati hanno poco appeal, non sono molto trascinanti e ormai nelle elezioni, la figura del leader è importante. Vedrete, l’affluenza sarà più bassa delle politiche».