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26 Maggio 2023RITRATTO D’AUTORE
Andar per fiabe con Fioroni, bambina infinita, romana de Roma, acchiappatrice di sogni. L’amore con Parise, i ritratti agli amici, la pittura, la fotografia, la ceramica
E mentre il mondo cade a pezzi / Giosetta Fioroni compone nuovi spazi. L’essenziale – cit. Marco Mengoni – da fissare per sempre, prima che l’apparire fugga via. Il compagno di una vita di Giosetta, Goffredo Parise, diceva che “cammina in modo leggero, certe volte, non vista, saltella come una scolaretta che vuole riprendere il tempo perduto per leggerezza”. Giosetta Fioroni, la ragazza viva e le comete. Bambina infinita classe 1932, nata la vigilia di Natale, romana de Roma, figlia di artisti – il padre Mario scultore, la madre Francesca Barbanti marionettista – allieva di Toti Scialoja all’Accademia di Belle Arti – gli disse che “le sue lezioni sono state per me una iniziazione erotica all’espressività” – quindi la “Scuola di Piazza del Popolo” (la definizione è di Alberto Arbasino) con Franco Angeli. Tano Festa e Mario Schifano, gli incontri decisivi con Alberto Burri, Alexander Calder e Cy Twombly. Una vita dedicata all’arte, una vocazione che ne indirizza fin da subito il talento. “A dodici anni ho capito quello che volevo fare nella vita”. Un mondo venato di tonalità metallica, striature di grigio che annegano nel bianco. Ogni cosa è argentata nel mondo di Giosetta. La poetica del ricordo, l’infanzia origine di tutto. Una finestra chiusa, un portantino incorniciato nella notte, una sagoma filiforme che svolta l’angolo delle “Passeggiate romane”; ma anche l’operaio travestito che visita cimiteri e la bambina rinvenuta seppellita in una cantina de “Atlante di medicina legale”. L’arte è la mise en place di una nostalgia acquattata da qualche parte, in un angolo della memoria. Ricordi privati, immagini colte in un qualche altrove. Colori tenui, tratti sottili. La fotografia, la pittura, la ceramica: arte da declinare nella pop art italiana, alla voce del verbo mediare, l’eclettismo come cifra esistenziale. Andy Warhol sì, ma con il cuore che batte e con una pila alta così di romanzi letti, vissuti, immaginati. Siamo pupazzi di un teatrino ora allegro e ora tragico. Tracce di felicità, rigature di infelicità. Gnomi, elfi, folletti, coboldi: se c’è un inizio, è questo. Poi si cresce, ma la fiaba non se ne va.
Il critico Vittorio Rubiu a metà anni Settanta parla dei “garbati sospiri di Giosetta”, Guido Ceronetti vent’anni dopo – nell’introduzione a “Passeggiate romane” – la dipinge come una “suora di carità a nero di china, tenentessa dell’Esercito della Salvezza: acchiappatrice dalla finestra di sogni colorati” e la immagina in giro per Roma, con la cartella di fogli bianchi sotto il braccio. Lo scrittore Raffaele La Capria più tardi argomenta: “Questi disegni non potrebbero essere più puntuti e più secchi di come sono: sembra quasi di sentire lo scricchiolio sul foglio del pennino che li ha tratteggiati”. E dunque: i ritratti degli amici. Arbasino, Zanzotto, Calvino, Gadda, Ceronetti, Rasy, interlocutori quotidiani nel continuo dialogo che l’artista intrattiene con la letteratura. E ovviamente Goffredo Parise, che accompagnò Giosetta per lunghi venticinque anni, “di divertimento e mai di noia”. E del loro cane, Petote, un fox-terrier a pelo liscio che prende il nome di un giovane che aveva accudito il bambino Goffredo, come lo descriverà lo stesso scrittore: “Una specie di ragazzo un po’ gobbo, con le orecchie a spatola e i piedi piatti, larghi, grandi e divaricati che, appunto, come primo elemento gli fruttarono questo bel nome”. Digressione: la galleria di tipi umani di Fioroni ricorda l’Ufficio Facce di Beppe Viola ed Enzo Jannacci, liberi docenti in cazzeggio di altissima classe, seduti per sempre a un tavolino della pasticceria Gattullo, mentre Milano si fa piano sequenza. Ha scritto Parise che “la poesia arriva quando vuole”. Ha detto Giosetta Fioroni: “Ho scelto la via del sentimento”. E no, l’infanzia non finisce mai, la felicità è sempre bambina, la vita è un racconto per immagini. Giochiamo a fare un collage? Giochiamo. E andiamo per fiabe. Rimane da qualche parte un cuore disegnato, di quelli che si vedono su muri di certe penultime fermate della metro, quando la città si arrende alla prima periferia e il grigio si prende tutto, terra e cielo: solo i puri di cuore ci vedono l’argento. Ovunque andiamo, ci andiamo tenendo per mano il bambino che siamo stati.