Gaetano Silvestri
Il premierato non è la soluzione al problema dell’instabilità dei governi italiani. Gaetano Silvestri, presidente emerito della Corte costituzionale, boccia senza mezzi termini la riforma annunciata dal governo Meloni, perché «andremmo incontro a due possibili scenari, entrambi pessimi – spiega il costituzionalista – da una parte il rischio di un irrigidimento autoritario, dall’altro quello di uno scontro istituzionale permanente».
Quindi, l’elezione diretta del presidente del Consiglio, con conseguente rafforzamento dei suoi poteri, non ci metterebbe al riparo da continui cambi di governo?
«È un pia illusione, ammesso che sia pia. La stabilità dipende da altri fattori sostanziali, innanzitutto dall’autorevolezza e dalla capacità di sintesi del premier, che è già dotato di poteri non indifferenti dall’articolo 95 della Costituzione. Poi dall’omogeneità della maggioranza che sostiene il governo e dalla condivisione di obiettivi comuni».
L’investitura popolare non metterebbe il premier al riparo da crisi e cadute?
«Dipende dal Parlamento, i cui rappresentanti sono anch’essi eletti dal popolo. Si verrebbe a creare un dualismo, una contraddizione interna al sistema, foriera di possibili crisi gravissime tra Parlamento e corpo elettorale. Una situazione simile a quella che hanno in Francia, dove hanno risolto il problema con difficoltà, ma anche con saggezza, all’epoca di Mitterand, con la cosiddetta coabitazione di un presidente con una maggioranza parlamentare di colore diverso».
Nella bozza della riforma circolata, si fa esplicito riferimento alla necessità di una riforma elettorale che favorisca la formazione di una maggioranza collegata al premier in entrambe le Camere…
«Cioè si vuole creare una maggioranza a immagine e somiglianza del premier, tentando di mettere un bel guinzaglio al Parlamento. A quel punto, però, bisognerebbe anche vietare i cambi di gruppo parlamentare, che da noi sono l’abitudine. Ma la verità è che, con la fine delle ideologie, non esistono maggioranze davvero stabili e l’elettorato è quantomai mobile: chi oggi è sulla cresta dell’onda, domani può cadere».
Anche un “sindaco d’Italia” eletto per 5 anni dalla maggioranza dei cittadini italiani?
Guardi, “sindaco d’Italia” è un’espressione semplicistica che mi fa solo ridere, ma con questa riforma ci sarebbero due possibili scenari. O una sorta di premierato assoluto, un irrigidimento autoritario con un Parlamento asservito e una figura che ricorderebbe più il “capo del governo”, come si chiamava nel Ventennio, che il presidente del Consiglio dell’Italia democratico-repubblicana. L’altro scenario, altrettanto pessimo, è quello di un Parlamento non consonante con il premier e, quindi, di una continua rissa istituzionale, una diatriba infinita tra poteri diversi, che bloccherebbe il sistema. Anche perché non ci sarebbe più l’arbitro».
Il presidente della Repubblica?
«Certo, con il premierato non avrebbe più l’autorevolezza per svolgere il suo ruolo di mediazione e tenere insieme il nostro complesso pluralismo politico. Con un premier scelto dal popolo, si creerebbe un bipolarismo istituzionale insostenibile e il capo dello Stato, eletto solo dal Parlamento, finirebbe in un cono d’ombra».
Senza più potere di nomina e revoca dei ministri o di scioglimento anticipato delle Camere, almeno secondo le anticipazioni della riforma. Di fatto, dovrebbe subire le scelte del premier…
«Diventerebbe una ruota di scorta del governo, diciamo la verità. La sua funzione equilibratrice essenziale, soprattutto nelle fasi di conflitto più aspro, verrebbe meno. Questo, in un Paese come il nostro, non possiamo permettercelo ed è il motivo principale per cui mi auguro che questa riforma non veda mai la luce».
Ma, a suo avviso, un intervento di modifica della nostra Costituzione è comunque necessario?
«Non credo, la crisi irreversibile dei partiti, anzi la loro morte, non si risolve dando la colpa alla Costituzione. Il nostro sistema non funziona perché, insieme alle ideologie, abbiamo buttato via anche le idee, ormai si rubano i programmi elettorali a vicenda. È una politica del giorno per giorno, senza visione, che insegue i sondaggi o l’ultima catastrofe da affrontare. In questa situazione, è ovvio che i leader politici si sentano a disagio e pensino che il problema siano le regole del gioco stabilite nella Costituzione».
Ci sarà un modo per avere governi più stabili anche in Italia, no?
«Glielo ripeto, l’articolo 95 della Costituzione già attribuisce al presidente del Consiglio poteri più che sufficienti per governare. Il punto è avere un premier con la necessaria autorevolezza e una maggioranza politica coesa. Due condizioni che non ottieni certo modificando la Costituzione».