Èvero che in politica le sensazioni o, con un termine più à la page, le narrazioni, hanno grande forza e spesso soverchiano i dati di fatto.
Così come si narra che FdI e la sua leader Giorgia Meloni siano usciti dal ceppo del neo/post fascismo per due lacrimucce sulla caccia fascista agli ebrei, mentre tacciono come tombe sulla ventennale violenza della dittatura mussoliniana, altrettanto si favoleggia di una crisi verticale del Partito democratico. Non che se la passi bene dopo il mancato successo di tre mesi fa, ma andrebbe ricordata qual era la condizione della destra berlusconiana dopo le sconfitte del 2006, alle elezioni e al referendum confermativo sulla sua riforma costituzionale: un’armata allo sbando. Poi, sappiamo come è andata a finire due anni dopo, alle elezioni del 2008. Il Pd ha l’occasione per uscire dalle secche di un’immagine e di una politica indefinite – cause primarie delle sue difficoltà – attraverso la competizione per la segreteria. E, soprattutto, grazie all’entrata in scena di un nuovo sfidante, Gianni Cuperlo.
Già il confronto tra Stefano Bonaccini, il rappresentante del brand più solido del partito – la tradizionale buona, anzi ottima, amministrazione delle terre rosse -, e la giovane Elly Schlein – libertaria, postmoderna, e del tutto aliena alle prassi e agli adagi dei partiti pre-Pd – offriva l’occasione per mettere a fuoco due declinazioni che attraversano la sinistra europea: quella gestionaria e affidabile, e quella innovativa e postmaterialista delle generazioni più giovani.
Mancava tuttavia – non ne voglia Paola De Micheli – un candidato che enfatizzasse un’altra visione del socialismo europeo.
Oggi la sinistra europea, con il Psoe spagnolo come punta di lancia, sta scrollandosi di dosso il torpore di una lunga acquiescenza alle coordinate politico-valoriali dell’establishment economico-finanziario. Il tema del lavoro, in tutte le sue sfaccettature, torna di prepotenza nell’arena politica.
Per molto, troppo, tempo il Pd e i suoi antecedenti hanno trascurato le domande e i bisogni delle classi sottoprivilegiate, confondendole e stigmatizzandole come populiste.
In Italia i salari sono fermi da trent’anni (mentre in Germania e Francia sono cresciuti del 30 per cento) ma, al contempo, sono aumentate le disponibilità economiche delle fasce più ricche. La stagnazione del Pil non è stata uguale per tutti.
Il Pd non può riprendersi se non attaccando a fondo le disuguaglianze crescenti che, tra l’altro, questa vergognosa legge finanziaria accresce ulteriormente.
Per rinforzare questa politica neolaburista una candidatura che metta al centro tali aspetti e ne faccia un asse del dibattito interno è quanto mai opportuna.