Pourquoi le Golan devient le terrain de prédilection du Hezbollah
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11 Luglio 2024di Massimo Franco
Le verità che stanno emergendo sempre più dopo le elezioni europee di un mese fa e quelle francesi di domenica scorsa sono l’isolamento dei gruppi estremisti: soprattutto di destra, i maggiori, ma anche di sinistra; e la volontà di puntellare la maggioranza tra popolari, socialisti e liberali facendo leva sulla politica estera a favore dell’Ucraina e della Nato. Su questo sfondo, il ruolo dei conservatori di Giorgia Meloni è di essere inclusi nello schema dell’Ue. Ma «non ci sarà un’alleanza strutturale con loro», ha detto Ursula von der Leyen.
Pesano le diffidenze di socialisti e liberali, oltre che di alcuni settori del Ppe; e il fatto che alcuni partiti di Ecr siano confluiti nei «Patrioti» europei filorussi di Marine Le Pen, Matteo Salvini e Viktor Orbán: a conferma di un’ambiguità di fondo che si è chiarita nel modo più imbarazzante. L’accentuazione dei toni di scontro tra gli schieramenti continentali fa prevedere un peggioramento dei rapporti. E anche sotto questo aspetto la premier italiana dovrà fare i conti nell’Ue con l’estremismo di destra, e in Italia con l’alleato leghista.
Lo scontro a distanza tra i due vicepremier, quello di FI, Antonio Tajani, e Salvini, ha ormai raggiunto vette di prevedibilità sconcertanti. Non toccherà la stabilità del governo, ma certamente ne logora l’immagine. Tajani ha confermato come era prevedibile che «Forza Italia voterà von der Leyen» alla presidenza della Commissione: proprio quello che la Lega e i Patrioti giudicano una provocazione. Quanto alle discutibili mediazioni del leader ungherese Orbán, presidente di turno dell’Ue, Tajani ribadisce che può farlo solo come capo del suo Paese.
Le sue visite inopinate a Vladimir Putin e poi a Xi Jinping nella veste di capo europeo sono state vissute con fastidio: tanto da avere spinto alcuni Stati nordeuropei a ipotizzare le sue «dimissioni» forzate. Non ci si arriverà, ma si confermano le tensioni fortissime verso i «Patrioti» e le loro inclinazioni in politica estera. Anche in questo caso, la distanza politica tra alleati di governo è vistosa. Tajani fotografa «un dibattito aperto» a Bruxelles sul da farsi. Ma avverte: «Libero di fare i viaggi da premier, ma attenzione a non indebolire l’unità dell’Occidente».
Dalla Lega arriva invece un plauso esplicito all’iniziativa ungherese. «Molti Paesi europei, anziché stracciarsi le vesti per chi tenta delle mediazioni come sta facendo Orbán dovrebbero lodare certe iniziative. Piaccia o non piaccia bisogna parlare con gli Stati belligeranti se si vuole raggiungere una tregua», sostiene il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo. E Salvini nei giorni scorsi ha frenato sull’invio di altre armi all’Ucraina. Tajani ha tagliato corto. E Meloni, da Washington, martedì è stata ancora più netta. Il governo italiano rimane fermamente ancorato alla Nato e alla difesa dell’Ucraina.