«Francesco ci ha letto dentro»
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24 Giugno 2023
Polemiche da quattro soldi. Litigi da bar. Gaffe. Perdite di tempo. Strategia dell’alibi. Dal Mes al Pnrr. Problema: è possibile cambiare la destra senza governare la maggioranza? Meloni e la “mission impossible” della fase due
Forse è ora di darsi una regolata. Giorgia Meloni, nei primi otto mesi di governo, ha dimostrato di avere un’ambizione degna di considerazione e in diverse occasioni ha sostenuto di voler dar seguito alle sue intenzioni, al suo tentativo di innovare l’Italia, costruendo una nuova forza conservatrice, capace di divenire un perfetto punto di intersezione, in Europa, tra la vecchia destra popolare e la rampante destra populista. Per rendere credibile il suo progetto, Meloni ha trascorso buona parte del suo tempo, all’inizio dell’esperienza da premier, nel rassicurare i suoi interlocutori internazionali, cercando di evidenziare in ogni occasione la sua netta discontinuità non con il passato governo, con il governo Draghi, ma con il passato del centrodestra. E dunque: responsabilità sull’Ucraina, responsabilità sui conti pubblici, responsabilità sulla difesa dell’atlantismo, responsabilità sull’emancipazione energetica dalla Russia, responsabilità nei rapporti con i partner europei. Meloni non lo potrà mai ammettere ma la verità è che uno dei principali punti di forza dei suoi primi mesi alla guida del governo italiano ha coinciso con la sua capacità di essere incoerente con la sua storia recente e divenire un imprevedibile argine anche al populismo alimentato negli ultimi anni dalla sua parte politica. Negli ultimi mesi, però, qualcosa è cambiato, in negativo, e improvvisamente la distanza tra le considerevoli ambizioni della premier e l’immagine offerta dalla sua maggioranza è divenuta abissale. E il tempo dedicato dal governo alle polemiche da quattro soldi, ai litigi da bar e alle gaffe politiche è divenuto infinitamente e drammaticamente superiore al tempo dedicato alla risoluzione di una serie di problemi che il centrodestra ha scelto di crearsi da solo. L’ultimo caso, il più recente, è l’incredibile polemica sul Mes, sull’approvazione di un trattato che solo l’Italia, nell’Unione europea, ha scelto di non ratificare e che solo l’Italia, in tutta Europa, ha trasformato in un tema divisivo, lasciando intendere, grazie a una imbarazzante e ridicola campagna di comunicazione portata avanti per anni dalla destra populista, che la ratifica del trattato coincida con l’inevitabile utilizzo degli strumenti previsti dal trattato. Si litiga su questo, sul Mes, ma si litiga anche su altro. Sul commissario per l’alluvione in Emilia-Romagna, che da un mese il governo non riesce a nominare. Sulla presentazione delle modifiche al Pnrr, che il governo dice da otto mesi di voler modificare senza spiegare minimamente come. Sulla definizione del famoso RePowerEu e sull’implementazione dello stesso Pnrr, sul cui terreno la maggioranza sembra essere impegnata più a creare alibi per giustificare le proprie eventuali inadempienze che a dispiegare tutte le proprie forze per mettere a terra i progetti europei. Sulla riforma della giustizia, ancora, il cui impianto garantista è stato difeso dal ministro Nordio senza il sostegno esplicito di un solo esponente importante della maggioranza. Si litiga su tutto, nel governo, pur essendoci una maggioranza compatta, una coalizione senza avversari, un’opposizione divisa, un’alternativa inesistente, e l’infinità di tempo perso nel risolvere problemi inutili ha portato la premier a non rendersi conto di quanto sia grave avere una maggioranza formata da esponenti politici che non perdono occasione per delegittimare ogni passo in avanti tentato dalla stessa leader di Fratelli d’Italia. Un giorno un ministro che vorrebbe governare il turismo viene beccato con le mani nella marmellata nella malagestione delle sue aziende legate al turismo. Un giorno un ministro che vorrebbe tutelare il made in Italy parla di sostituzione etnica per proteggere la razza italiana. Un giorno un parlamentare considerato moderato sceglie in Parlamento di definire gli avversari come amici dei terroristi e dei mafiosi. Un giorno un parlamentare divenuto famoso per un poco riuscito travestimento da soldato nazista per esprimere cordoglio a una regione distrutta da un’alluvione pensa bene di ironizzare sui soldi richiesti dalla regione colpita dalle numerose piogge.
Si potrebbero fare moltissimi altri esempi per illuminare la trasformazione della maggioranza di governo in un’accozzaglia priva di gravitas (stendiamo un velo pietoso sulle sempre più frequenti circostanze in cui la maggioranza finisce in minoranza in Aula (sul Def) e commissione (sul dl “Lavoro”) perché qualche parlamentare sceglie di schiacciare un pisolino a una festa di compleanno.
Ma quel che forse oggi, allo scoccare degli otto mesi di governo, vale la pena segnalare è che la ragione per cui Meloni, imprevedibilmente, sembra trovarsi più a suo agio quando si muove tra le cancellerie internazionali che quando si muove tra i banchi del governo è legata a una certezza con la quale il capo dell’esecutivo dovrà fare i conti: ambire a cambiare la destra europea alla guida di una maggioranza interessata più alla rielaborazione del modello Pierino che all’adattamento del modello Scruton è come andare verso una destinazione con una locomotiva che va da una parte e i vagoni che vanno dall’altra. Le ambizioni di Meloni sono suggestive, e possono intrigare anche chi non considera la premier come la propria cup of tea, ma forse, prima di andare a sbattere, sarebbe ora affettuosamente di darsi una regolata e fare i conti in fretta con le derive del modello Pierino.