Green Snake: women-centred ecologies
20 Dicembre 2023Camminare sulle uova
20 Dicembre 2023l’intervento
Non esiste la “pietas” nemmeno di fronte a una gravidanza che diventa un fattore scatenante. La lotta contro la violenza deve essere la nostra priorità, il tema deve arrivare nelle scuole
C’è da correre, unirsi, smettere di polemizzare, strumentalizzarsi, scontrarsi. C’è da riconoscere i caratteri di una guerra senza regole, quartiere, silenziosa, inafferrabile, efferata e agire a ogni livello per fermarla. C’è da portarla in alto dell’agenda, al primo posto: tutto il resto, pazientate, viene dopo. Dopo la ferocia con la quale gli uomini uccidono le donne, donne con le quali avevano o hanno una relazione, bambini o bambini che devono venire al mondo, trascinati dentro questa spirale distruttiva e nichilista. Dopo le coltellate che siamo condannati ogni volta a contare, i figli che restano, comunità e istituzioni “attonite” ma incapaci di ascoltare, sostenere e impedire che accada di nuovo. Nemmeno questa volta si è riusciti ad arrivare prima, a garantire a Vanessa Ballan che aveva 27 anni, un figlio di quattro anni e ne aspettava un altro, di restare in vita. Sappiamo che a ottobre Vanessa aveva denunciato un uomo, Bujar Fandaj, cliente del supermercato dove lavorava, per stalking, ora gli inquirenti indagano in questa direzione e in serata lo hanno fermato. Si ha sempre la sensazione di dover ricominciare ogni volta da capo, non solo perché le storie sembrano ripetersi in modo implacabile, ma soprattutto perché la memoria sembra incapace di fissare ciò che abbiamo imparato, farlo diventare motore di cambiamento. Padova non è lontana da Treviso, a Padova abbiamo sentito tutti non solo le parole del padre di Giulia Cecchettin ma il rumore delle chiavi che rispondevano al suo appello. E invece oggi, mentre registriamo due nuovi femminicidi, uno a Treviso e uno a Rieti (tre se si considera la verità emersa rispetto alla morte di Francesca Ercolini a Pesaro) ci misuriamo con lo stupore di chi scrive: nel caso di Vanessa, l’assassino non si è fermato nemmeno davanti alla nuova maternità della vittima. Dovremmo aver imparato, dopo Giulia Tramontano e molte altre che non è in gioco nessuna pietas in queste dinamiche, che la gravidanza non trattiene la violenza e la volontà di annientare, ma le scatena. Questo dato non si comprende perché non si vuole vedere che nella violenza maschile non sono in gioco empatia, affetti o amori degenerati, capaci magari di tornare indietro perché temporaneamente “accecati” dalla gelosia o dalla rabbia, ma la volontà di annientare vite di donne, e a volte bambini, che non si possono più possedere. Chiamare le cose per nome è necessario, vuol dire smettere di coprire o ridimensionare le responsabilità reali. Il conflitto sanguinoso che segna il tramonto del patriarcato, la risposta violenta alla “rivoluzione pacifica” delle donne è governata solo dalla legge del possesso: da questa acquisizione non dovremmo tornare indietro, dovremmo invece fissarla, nel senso comune e nelle azioni di contrasto che devono essere aggiornate, implementate, verificate e sostenute ad ogni livello. Le leggi sono necessarie, come gli investimenti, ed è davvero una notizia positiva che le opposizioni abbiano trovato l’accordo per sostenere insieme la lotta alla violenza. Ma ora serve uno sforzo perché questi fondi garantiscano tutela alle donne in ogni parte d’Italia, per mettere ogni procura, ospedale, comando di polizia nelle condizioni di ascoltare le richieste donne e garantire la loro libertà. Anche nelle scuole, nelle università deve poter entrare la storia del cammino che le donne hanno fatto per conquistarla, quella libertà – non altrove, qui – e della fatica che fanno gli uomini ad accettarla. È tempo di riconoscere che è storia di tutti, contro la violenza non c’è altro vaccino.