ROMA — L’emendamento della discordia viene depositato a Montecitorio qualche minuto dopo le cinque del pomeriggio. È il bavaglio alla Corte dei conti, a cui il governo toglie il controllo concomitante sul Pnrr. A pochi metri di distanza, nella Sala polifunzionale della presidenza del Consiglio, Raffaele Fitto è indaffarato in un’operazione complessa. E cioè blindare la conferenza stampa convocata per presentare la relazione semestrale sull’attuazione del Piano di ripresa e resilienza. Il tentativo va a vuoto. Perché i dati sulla spesa, persino le ragioni e i primi indizi sulla revisione, finiscono fagocitati dalle domande sullo scontro con la magistratura contabile. Che il ministro per il Pnrr nega: «Lo scontro si fa in due, sfido chiunque a trovare una sola parola nella posizione del governo o anche in una mia dichiarazione che sia andata contro la Corte dei conti».
Parte da qui una lunga e articolata disquisizione per giustificare l’intervento dell’esecutivo, che nell’emendamento ha inserito anche la proroga di un anno, al 30 giugno del 2024, dello scudo per il danno erariale del dirigente pubblico. Allargandocosì il fronte con i giudici, che nelle scorse settimane avevano chiesto di evitare un altro allungamento perché lo scudo «ha aperto uno spazio di impunibilità ». E aprendo un fronte con il Parlamento, dove a sera le opposizioni protestano, ottenendo l’accantonamento dell’emendamento e l’audizione, oggi alle 13, del presidente della Corte dei conti Guido Carlino.
Fitto lamenta che la questione sia esplosa ora, quando – incalza – «lo scudo è stato deciso dal governo Conte e poi è arrivato il governo Draghi che l’ha prorogato ». Poi passa a spiegare perché era necessario fermare il controllo in itinere della Corte: la grande colpa del Collegio del controllo concomitante è essersi sostituito alla Commissione europea nel valutare il mancato raggiungimento di alcuni obiettivi. Oltre ad aver segnalato la necessità di procedere nei confronti dei dirigenti inadempienti.
Ma le domande dei cronisti non si fermano. E allora Fitto cita «qualche dichiarazione un po’ sopra le righe» da parte «di qualche organismo di rappresentanza della Corte». Il riferimento è al Collegio, la frase che svela le tensioni e il bavaglio è la seguente: «Il governo è molto rispettoso, ma chiede di essere rispettato ». Oggi pomeriggio un nuovo round, con una delegazione della Corte attesa a Palazzo Chigi, come anticipato da Repubblica .
Tornando alla conferenza stampa e alla relazione semestrale. I dati del governo sulla spesa del Pnrr sono in linea con quelli della Corte, finiti però sotto accusa perché ritenuti incompleti. Al 31 dicembre dell’anno scorso, l’Italia aveva speso 24,4 miliardi. In due mesi, gennaio e febbraio, si è aggiunto poco più di un miliardo, arrivando così a circa 25,7 miliardi.
Un passo lento, che non può essere imputato ad altri perché a gennaio Giorgia Meloni era a Palazzo Chigi già da più di due mesi. E però c’è il dito puntato contro il governo Draghi, reo di aver indicato «l’assenza di criticità e di rischi di rallentamento per tutti gli interventi», quando invece, scrive l’attuale governo, «sono stati riscontrati numerosi ostacoli». Parte da qui la revisione del Pnrr. Che individua quattro criteri per decidere quali progetti dovranno traslocare sulla programmazione della Coesione: un «notevole ritardo » nell’avvio, l’aumento dei costi a causa dell’inflazione, ma anche «l’estrema parcellizzazione » (i piccoli investimenti, sotto la soglia di 1 milione, sono l’87% del totale).
Ancora difficoltà legate a norme e autorizzazioni. Sono 120 le misure che fanno fatica, da quelle per la lotta al dissesto idrogeologico al piano Italia 5G. La lista è lunga: ci sono anche gli asili nido, gli ospedali di comunità, le colonnine elettriche. L’operazione di smontaggio e rimontaggio del Pnrr si fa complessa.