Talk Talk – Such A Shame
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«Per non sentire il tempo che inesorabilmente passa e ci opprime bisogna ubriacarsi di poesia, di vino o di virtù». Si tratta della citazione di un’opera di Baudelaire, lo Spleen di Parigi, che nel caso i politici la conoscessero, direbbero senza ombra di dubbio che la loro consolazione è sempre e solo nella virtù. Deve essere così anche per Dario Nardella, malgrado sia anche un violinista, e lo si capisce chiaramente dall’intervista di giovedì scorso al Corriere Fiorentino. Sono passati dieci anni da quando Matteo Renzi impose al suo ex-braccio destro in Palazzo Vecchio d lasciare il Parlamento e di fare ritorno a Firenze. Nardella fece di necessità virtù e di questa ha rivendicato i meriti conseguiti nelle due legislature passate, per cui il tempo che è passato e quello che poi seguirà sarà per lui lieve. Baudelaire è sistemato e così sia? Non proprio perché il sindaco uscente indica un’altra virtù indispensabile di cui inebriarsi politicamente a chi verrà dopo di lui, ma anche a dare valore al tempo per lui trascorso: la continuità, con la propria opera, ovviamente. «Difenderò il buon lavoro fatto in questi 10 anni e per me sarà decisivo il giudizio che se ne darà…». Con cosa dovrà essere in continuità il successore per ottenere il suo sostegno? Con le magnifiche sorti e progressive della prima legislatura, dominata, come la seconda del resto, da quello che resterà nella memoria pubblica fiorentina di Nardella, cioè l’avvio e poi gli sviluppi fino a oggi della tramvia?
Va detto che rispetto ad altri e in particolare rispetto a Renzi che vedeva Firenze come semplice trampolino di lancio per Palazzo Chigi, Nardella ha amministrato la città, bene o male che lo si voglia giudicare. Nel momento però in cui se ne va che Firenze lascia, per giustificare la richiesta che fa di andare avanti nello stesso modo in cui lui ha governato in precedenza?
Non vogliamo in queste righe affrontare i tanti problemi criticamente aperti e di cui si discute quotidianamente, dallo stadio, al Maggio, ai trasporti, ma indicarne uno solo che in realtà li comprende tutti: che eredità lasciano a Firenze nel suo complesso i dieci anni trascorsi? Nel corso della pandemia il sindaco aveva pubblicamente manifestato la propria comprensione del disastro che negli ultimi decenni aveva trasformato la parte storica di Firenze in un vuoto a perdere determinato da una monocultura turistico commerciale, legata alla pura rendita. Occorreva un nuovo modello di sviluppo e niente avrebbe potuto essere come prima. Finisce l’emergenza e tutto ritorna come prima, anzi peggio, malgrado i disperati tentativi di contrasto di fenomeni ormai quasi conclusi come quello degli affitti brevi in centro. Ma c’è di più e non serve rifugiarsi nella scusa che le città d’arte… così fan tutte. Un bell’articolo-inchiesta di Giulio Gori sul Corriere Fiorentino descrive in maniera drammatica ciò che sta succedendo in via dei Pepi, nel centro del centro di Firenze e che è nel ricordo di tanti per essere una delle strade legate alla memoria letteraria di Vasco Pratolini. I fondi un tempo botteghe di artigiani sono diventati o stanno diventando — nonostante i regolamenti di Palazzo Vecchio — le inabitabili «non case» di quelli che lavorano (in che modo, si tratterebbe di vedere) per l’overturismo attuale. Mentre si stravolge un tessuto urbano ormai senza controllo, trovare una casa normale nella città e non solo nel centro, diventa via via roba da ricchi e basta. Anche Nardella, nella sua ultima versione critico-ambientalista, riconosce lo stato delle cose. Non sarà colpa sua, o forse anche sua, ma di certo se ci dovesse essere una continuità con i suoi dieci anni, speriamo che non coincida con quello che stiamo vedendo in questo tempo.
Franco Camarlinghi
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