di Alberto Anile
È curioso che gli ultimi libri dedicati a cineasti siano su David Cronenberg (Una storia di violenza, a cura di David Schwarts, traduzione di Pietro Del Vecchio, pubblicato da Wudz) e su Quentin Tarantino (Perché è divertente, a cura di Gerarld Peary, traduzione di Sara Bilotti, uscito per minimum fax). Sono entrambi libri di interviste ( volumi collettanei di pezzi giornalistici usciti su prestigiose testate cinematografiche, ma anche chiacchierate sbobinate da trasmissioni tv e conferenze stampa) e quindi di critica cinematografica. Perché i migliori libri di critica cinematografica sono sempre quelli di interviste: non solo in quanto più appassionanti (la forma stessa del dialogo è di per sé drammaturgica), ma anche perché il cineasta interrogato è chiamato a confessare le intenzioni del proprio lavoro, a tirar fuori i ripensamenti, a dichiarare quali sonole parti di cui è più soddisfatto, a rivelare dettagli importanti sulla genesi di un progetto.
Pur appartenendo a generazioni diverse ( oggi Tarantino ha 61 anni, Cronenberg 81), i due registi sono entrambi noti per opere scioccanti e discusse, e sono tutti e due americani: statunitense Tarantino, del Tennessee, canadese Cronenberg, dell’Ontario. Ed entrambi sono Autori con la A maiuscola, in grado di portare ossessioni e stilemi assai personali a platee anche molto ampie. Una storia di violenza ePerché è divertentehanno tra l’altro la stessa origine editoriale, l’Università del Mississippi, che da anni compie un complicato e meritevole lavoro di raccolta dei botta e risposta giornalistici con i registi del presente.
I punti di contatto finiscono qui. Il cinema di Tarantino è pop e citazionista, quello di Cronenberg viscerale e filosofico, sghignazzante e cinefilo il primo, serissimo e allucinatorio il secondo. Se Tarantino si diverte a fare riferimenti a Sergio Leone, costante stella polare della sua carriera, Cronenberg preferisce citare Heidegger e Nietzsche. Di qua l’adrenalina dell’azione, di là la riflessione sulla corporeità.
Per capire quanto i due siano diversi basta mettere in parallelo ciò che pensano della violenza, ingrediente talmente fondamentale delle loro opere da dedicarvi allusivamente i due libri. Il titolo Una storia di violenza traduce in italiano A history of violence, il thriller con Viggo Mortensen ex killer nella mafia irlandese, che paradossalmente è il film meno violento del regista canadese. Perché è divertente è proprio la motivazione che Tarantino fornisce a chi gli chiede perché i suoi film abbiano un tasso così alto di emoglobina. Per il regista diKill BilleLe iene,« la violenza è un fatto puramente estetico. Dire che non ti piace la violenza nei film è come dire che non ti piacciono le scene di danza nei film». La usa semplicemente perchélo diverte, appunto, anche se dichiara di non prenderla troppo sul serio. Per Cronenberg si tratta invece tecnicamente di una necessità: « Nei miei film la maggior parte della violenza è straordinaria, assurda. Sono cose che se non venissero mostrate il mio pubblico non le potrebbe immaginare » , perché non ne ha maiavuto esperienza diretta: come la testa che esplode inScanners, o il protagonista di Videodrome che s’infila una mano nello stomaco.
Curiosamente, fra i due registi è Cronenberg ad apparire più rilassato e spiritoso: i suoi intervistatori testimoniano del fatto che l’autore diCrash, al contrario dei suoi film, appare arguto e con la battuta pronta. Lui stesso racconta di quanto Martin Scorsese fosse terrorizzato di conoscerlo: « Così è rimasto stupito di incontrare un tipo che, come ha detto in seguito, “ sembrava un ginecologo di Beverly Hills”». Le interviste di Tarantino testimoniano di un carattere vivace ma anche suscettibile, come quando la critica insiste troppo su Jackie Brown, considerandolo il suo film più sofisticato e però anche il meno “tarantiniano”. Dopodiché è Tarantino ad aprirsi di più, a rispondere a qualsiasi tipo di domanda (il piatto preferito da cucinare? Bistecca alla brace), a sputare più spesso il rospo («ciò che ha fatto Internet è distruggere la critica cinematografica»). Poi, come tutti i registi, tutti e due hanno progetti che ristagnano nel cassetto. Tarantino accenna al terzoKill Bill,che avrebbe avuto come protagonista la figlia di Vernita Green, la donna uccisa da Uma Thurman all’inizio del primo capitolo: il film avrebbe raccontato la sua vendetta nei confronti della sposa. Cronenberg ricorda invece con rammarico il periodo in cui tentò di dirigere Atto di forza, poi affidato a Verhoeven: «È un tasto dolente, sì, perché credo che per me sia stata un’occasione mancata » . Glielo sfilarono di mano perché quello che avrebbero voluto da lui era una sorta diI predatori dell’arca perduta vanno su Marte: « Alla fine ho visto il film. Ho pensato che fosse davvero terribile. È diventato Arnold Schwarzenegger va su Marte».