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21 Dicembre 2023Il sistema è impazzito. La crisi della psichiatria italiana
22 Dicembre 2023Marion ricostruisce i pregiudizi razionalisti della suddetta rimozione: l’identificazione del dato rivelato con proposizioni logicamente incontraddittorie; il cedimento alle categorie elleniche della metafisica; la pretesa di fondare asserzioni teologiche («apprensione» delle cose da credere) senza la fede, la quale si aggiungerebbe solo in un secondo momento, quello dell’«assenso»; la sopravvalutazione della pura ragione come condizione di possibilità della rivelazione e addirittura come criterio di misura dell’autenticità di quest’ultima.
La rivelazione appartiene invece per eccellenza, a giudizio del filosofo francese, al gruppo dei «fenomeni saturi», in cui la verità si dà in forme sorprendenti, irriducibili al concetto, indimenticabili per il loro potere trasformativo, aperte a un’ermeneutica perenne, coinvolgenti la soggettività del credente, che funge da semplice testimone di un evento che proviene da «altrove».
La logica del Dio, che si mostra da sé, attraverso paradossi, rivendica il diritto di scegliere i modi del rivelarsi (apokalypsis), i quali trasgrediscono le categorie onto-teologiche di svelamento (aletheia), sussistenza, inferenza deduttiva, causalità, sostanza: tutte categorie coniate a partire dal modello dell’ente, e quindi destinate a naufragare quando si nomina la realtà di Colui che trae le cose dal nulla e si comunica a noi come alleato affidabile.
Oltre a dialogare con grandi filosofi e teologi, Marion abbozza una teoria fenomenologica della Trinità secondo un modello di «comunione» che supera le manchevolezze dei modelli «ontico» ed «economico». L’unicità di Dio (uno solo e senza rivali, né interni né esterni a lui) dipende dalla modalità con cui egli rivela la sua unità, e questa unità non ha caratteri dispotici o oppositivi: «La confessione di Gesù come Cristo implica necessariamente la sua scoperta come Figlio del Padre, il quale, insieme, fa uno con lui e rimane, per ciò stesso, più grande di lui» (p. 481). Questo consente di riabilitare il ruolo dello Spirito come colui che opera rivelando – senza esporsi direttamente – la forma del dono reciproco fra le ipostasi. Lo Spirito rivela il Padre nel Figlio e fa diventare anche noi figli del Padre. Lo Spirito non promette, ma dà, e in un certo senso è un’anticipazione sull’eredità a noi riservata (cfr Ef 1,14; 2 Cor 1,22). Lo Spirito è il regista della scoperta trinitaria di Dio, perché dispone il nostro sguardo nel punto esatto in cui, fissando il volto visibile di Cristo (icona dell’invisibile), percepiamo lo sguardo reciproco che intercorre tra il Padre e il Figlio e in qualche modo ne diveniamo partecipi.
Il dibattito su questo importante testo di Marion ha fatto sorgere questioni di fondo. Egli riconduce i princìpi della fenomenologia di Husserl e Heidegger al seguente: «Quanto più si esercita la riduzione, tanto più si compie la donazione». Riduzione è il mettere tra parentesi le ovvietà del senso comune e l’oggettività scientifica. Essa consente che ciò che si mostra si mostri in sé e partire da sé, attraverso i vissuti che riceviamo. Ci si è domandati però se la stessa rivelazione debba adeguarsi a certe categorie fenomenologiche predefinite.
Forse alcuni dubbi dei lettori provengono della scelta dell’autore di lasciare, in questo libro, che «le strutture specifiche del discorso teologico e di quello fenomenologico operino in un’unica movenza teorica» (p. 20). In ogni modo, ha ragione Marion nell’affermare che la verità (intesa come carità, come il rivelarsi a noi di un Dio di amore) può essere compresa solo «volendone» la manifestazione, ossia dando credito alle promesse del vivere e praticando la logica del dono. Nessuno può vedere ciò che gli si scopre, se non credendovi.