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L’operazione con cui Mps vuole prendersi Mediobanca è ormai chiara: l’obiettivo non è solo creare un grande gruppo bancario, ma anche controllare Generali. Mps punta a superare il 66% di Mediobanca per avere il pieno controllo, ma ha fissato una soglia minima di adesione al 35%, che secondo il ceo Lovaglio sarebbe solo una “tecnicalità”. In realtà, Mediobanca ha fatto sapere che con il 35% non si controlla niente, e che questa operazione rischia di generare dissinergie da 665 milioni e di perdere benefici fiscali.
Lovaglio è convinto che l’operazione porterà grandi vantaggi, promette dividendi al 100% degli utili e crescita a doppia cifra. Ma il suo piano prevede anche un cambio radicale ai vertici: l’attuale ad di Mediobanca, Nagel, non è in linea con il progetto e verrà sostituito, insieme al presidente Pagliaro. Il nuovo capo di Mediobanca dovrà rispondere a Mps, come chiesto anche dalla Bce. Circolano già nomi, ma l’identikit richiesto è di un manager internazionale e carismatico.
In sottofondo c’è la politica. Il governo Meloni, che avrebbe dovuto vendere Mps come promesso all’Europa, sostiene invece questa operazione. Ufficialmente si parla di creare il terzo polo bancario dopo Intesa Sanpaolo e Unicredit, ma è evidente che la vera partita riguarda Generali, di cui Mediobanca controlla il 13%. Per molti osservatori, è una mossa orchestrata da Caltagirone, socio forte sia in Mps che in Mediobanca, che da tempo vuole rafforzarsi nelle assicurazioni e nella finanza italiana.
Questa operazione, però, non piace a Mediobanca né a molti investitori istituzionali che temono una gestione troppo verticistica e poco trasparente. E se Mps non raggiungesse il 50%, o meglio il 66%, rischierebbe di non ottenere né le sinergie promesse né i vantaggi fiscali su cui si basa l’intera operazione.
Intanto la politica resta silenziosa, l’opposizione non attacca e la stampa dedica poca attenzione a un passaggio cruciale per la finanza italiana. Da De Gasperi a Meloni, la parabola del sistema finanziario sembra arrivata al capolinea, con il governo che si affida più ai giochi dei finanzieri che a una vera visione strategica per il Paese.