Elly Schlein permettendo, il punto allora rimane lo stesso dopo anni e anni di seminari, dibattiti e convegni per interrogarsi e autoflagellarsi sempre: perché parte del popolo della sinistra (che esiste eccome) si rifugia nell’astensionismo o anche nei Cinque Stelle? Lo spiega, con grande passione, questa sì sentimentale oltre che politica, Antonello Caporale, firma scintillante del Fatto e fieramente di sinistra, nel libro che esce oggi per Marsilio e scritto insieme con Salvatore Merlo, vicedirettore del Foglio: Destra, sinistra e viceversa. Un volume bifronte o capovolto, con due copertine. Da un lato Caporale: Catalogo breve delle virtù nascoste dei progressisti. Dall’altro Merlo: Catalogo breve dei peggiori vizi dei conservatori.
Due libri in uno per tentare, scrivono gli autori, “di indicare quel che ci aspetteremmo dalla destra e dalla sinistra, l’una oggi al governo e l’altra all’opposizione”. Per partire da quest’ultima: Caporale traccia pure “una nuova toponomastica della sinistra” per “ricucire l’Italia” e dare carne e sangue, non solo idee e progetti, alla lunga tradizione comunista e post-comunista poi affondata nella malattia letale del governismo o del gestionismo fine a se stesso. Un cancro, diciamo pure così, generato anche da quella cellula malata che fu la promessa dalemiana, rivelata da Luciano Violante pubblicante a Montecitorio, di non toccare il colossale conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi, per consentire così la sua elezione parlamentare. Fissato questo primo paletto, Caporale mette il Pd “davanti allo specchio” e non vede uno spettacolo incoraggiante: l’Italia abbandonata dell’entroterra (di qui la proposta di un reddito di territorio); l’Italia delle periferie come ghetti; l’Italia del lavoro sfruttato e che vive con angoscia; l’Italia dei sei milioni e mezzo di pendolari che viaggiano su treni scassati e lenti. E poi l’evasione fiscale, il collasso della sanità, il regionalismo nocivo e l’ego dei governatori, leader e gregari fagocitati dal modello deleterio dei talk tv, il governismo coniugato con la malapolitica.
Ma la questione centrale che Caporale pone, per descrivere la mortale malattia del Pd, è quella del moderatismo (la stagione della medietà). Un virus che ha fatto danni importanti, contagiando il finto riformismo (termine fin troppo abusato) e portando la sinistra a scimmiottiare la destra, come il pugno duro sui migranti dell’ex ministro Minniti, con tanto di lager in terra africana pagati dall’Italia.
Sull’altro fronte,con una lucidità sovente ironica, il conservatore Merlo viviseziona la destra postmissina di Giorgia Meloni oggi al governo. La premier viene esaltata per il suo realismo pragmatico che la fa scegliere Ursula von der Leyen e Mario Draghi al posto dei sovranisti europei e che quindi la rende una promettente conservatrice in nuce (anche per il suo sostegno incondizionato a Ucraina e Israele e per la familiarità con Joe Biden). Ma i vizi ovviamente non mancano. Come quello paradossale, per certi versi, della battaglia contro le “appropriazioni culturali”, tipica dei liberal di sinistra ma che, per esempio, il ministro-cognato Francesco Lollobrigida rilancia con l’autarchia agricola e cinematografica. Indi, il tormentone farlocco sull’obiettivo dell’egemonia culturale, “contraria all’indole degli uomini, e degli elettori, della destra stessa”. E visto infine che Fratelli d’Italia nacque come partito regionale nel Lazio, si consiglia la lettura a Meloni e i suoi del capitolo cinico e rassegnato allo stesso tempo sulla Capitale. Roma è una città che fa schifo ma ospita le istituzioni più importanti del Paese. Per questo dovrebbero essere gli italiani a scegliere i suoi amministratori, alla luce dei fallimenti politici di ogni colore.