
Risse nel centro storico di Siena, tra i responsabili 5 minorenni
19 Aprile 2025
Cara Siena, stavolta non ti scriviamo per affetto
19 Aprile 2025“Siena polo della finanza italiana” è un’etichetta che ormai appartiene ai libri di storia. Lo sappiamo da tempo, e non serve più raccontarcela: la realtà ci è già passata sopra. Ora resta solo da certificare ufficialmente quello che è sotto gli occhi di tutti. L’ingresso del Mps nel capitale di Mediobanca rischia di essere il sigillo finale su un declino che si trascina da anni.
Con la Fondazione MPS ridotta a una quota simbolica e senza alcun potere reale, il legame tra la banca e la città diventerà sempre più formale, sempre meno sostanziale. E a quel punto, la domanda arriverà puntuale: perché una grande banca dovrebbe continuare a mantenere qui, a Siena, la sua sede operativa? La finanza oggi parla milanese, e la politica – quella che conta – sta a Roma. Noi rischiamo di sparire, lentamente ma inesorabilmente, dalla mappa delle città che contano davvero.
Ma qui non si parla solo di identità, di orgoglio o di memoria. Qui parliamo di lavoro, di competenze, di economia. Se salta questo legame, salta anche ciò che tiene insieme una parte importante del tessuto sociale della città. Se ne vanno i posti qualificati, le funzioni strategiche, l’indotto. Non è più una questione simbolica: è un effetto concreto, durissimo. Una stagione che si chiude davvero.
E se l’operazione non dovesse andare in porto? Non sarebbe comunque una buona notizia, se dietro non c’è una visione. Senza un piano industriale forte, senza un partner solido, senza una prospettiva vera, il rischio è quello di una lunga agonia. Una banca ferma, congelata tra regole europee, veti politici e disinteresse generale. Nessuno che abbia più voglia – o interesse – di rimetterla in piedi.
A questo punto, però, il nodo non è solo il destino della banca. È il destino della città. O Siena decide di svegliarsi, oppure continuerà a consumarsi in un’autocelebrazione sterile, tutta rivolta al passato. Un passato importante, certo, ma che da solo non basta a reggere il futuro. Serve uno scatto.
E per farlo servono scelte nette. Serve un cambio radicale: culturale, generazionale, politico. Non si può parlare di svolta se poi si riciclano le stesse persone, gli stessi meccanismi, le stesse logiche che hanno portato al disastro. Se in Fondazione tornano i protagonisti delle peggiori decisioni – da Antonveneta a Banca 121 – allora non c’è cambiamento. C’è solo la replica, con un altro nome, dello stesso copione.
E a quel punto, la responsabilità non sarà più solo di chi ha sbagliato in passato. Sarà di chi oggi finge di cambiare tutto per non cambiare niente. E domani non potrà più dire “non lo sapevo”.
Io penso che Siena possa ancora giocarsi una partita diversa. Ma per farlo deve smettere di difendere il “come eravamo” e cominciare a lavorare sul “cosa potremmo essere”. Formazione, ricerca, turismo culturale, imprese di qualità, sostenibilità. Le energie ci sono. Le risorse ci sono. Manca il progetto. Manca la volontà politica. Manca il coraggio.
Il tempo delle rendite di posizione è finito. Che ci piaccia o no, è il momento della responsabilità. (p.p.)