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Per una festa che, per antonomasia, si identifica con la “difesa della tradizione” (questa la sua cifra) il confronto con la pop art di Marco Lodola si prefigurava arduo da digerire. Così è andata. E giù con le ironie e i commenti negativi – non di tutti, ma di una parte rilevante dei contradaioli – ovviamente per il mancato rispetto della “tradizione”. Ma cosa è la tanto invocata “tradizione paliesca”? Il Palio, inteso, come corsa, arriva come evoluzione di tante altre feste, continuamente cambiate a seconda delle esigenze dei vari momenti storici.
Il regolamento è in continua trasformazione mentre alcune innovazioni, come il ruolo della rincorsa, rappresentano prassi introdotte di recente, nemmeno previste ufficialmente. L’idea dei costumi e del corteo storico coincide con una corrente artistica nata in Inghilterra, quella dei preraffaelliti che critica Raffaello Sanzio, affine al simbolismo e all’Art nouveau: è un pò la trasposizione pittorica del tardo romanticismo e del decadentismo, che influenzerà il resto dell’Europa. Uno dei paladini di queste tendenze è stato William Morris tra i principali fondatori del movimento delle Arts and Crafts, antesignano dei moderni designer, che a sua volta influenzò gli architetti. Richiamarsi al Medioevo o a un passato idealizzato, enfatizzare la retorica di uno stile di vita idillico, significava implicitamente imporsi all’industrializzazione che avanzava come modello economico e alla modernità. E mentre nascevano le prime “fabbriche” di panforte (fino a Napoleone erano degli “speziali”, ovvero farmacisti, legati a ordini religiosi ad occuparsene) si imposero anche scatole con dame e paggi, trombetti, alfieri e cavalieri, secondo un particolare stile del momento. Del resto, seguendo questo filone “neogotico”, venivano restaurato palazzi o ricostruiti, come accadde per palazzo e piazza Salimbeni ricostruiti in chiave medievale dal “purista” Giuseppe Partini (in Francia Eugène Viollet-le-Duc restaurava con lo stesso concetto Notre Dame). Dello stesso periodo sono anche le opere di Federigo Tozzi, proiettate nel racconto di uno stile di vita contadino; una economia povera fatta di piccoli proprietari e di mezzadri tutti dentro una competizione fatta di invidie. Eppure, nel 1904 a Siena nasceva la Sclavo e la città si confrontava con il resto del mondo e l’innovazione. Nel Palio, viceversa, come è evidente e non poteva essere diversamente, vinse l’estetica più consona al modello economico e sociale prevalente non solo a Siena: l’agricoltura contro l’industria, l’artigianato contro la fabbrica (Morris).
Sull’onda di questo stile nel Palio si introdussero i costumi medievali (o più propriamente rinascimentali) e il corteo storico. L’operazione fu osteggiata (inutilmente) dalle parti più progressiste della città. Si impose un nuovo Medioevo, esattamente come nacque il neogotico per l’architettura. Niente dell’attuale corteo ha un richiamo diretto al grande periodo storico di Siena: la sbandierata o i giochi con le bandiere degli alfieri, come la Marcia del Palio e il suono delle chiarine, sono tutte invenzioni del contesto neogotico. Lo stesso ritmo dei tamburi viene da una sinfonia di Beethoven. Come sempre, ogni tradizione è un’innovazione ben riuscita. E un finto Medioevo è stato assunto come autentico e intangibile: tanto da essere percepito come “vero”. Tanto vero da plasmare buona parte del senso comune collettivo ancora oggi senza nessuna storicizzazione: un passaggio nella storia di una collettività da conservare, senza assumerlo, però, come assoluto. Allora perché richiamarsi a un finto Medioevo invece di confrontarsi con il gusto e la cultura del momento? Eppure la storia artistica della città ci insegna che se i Senesi del Medioevo non avessero innovato e guardato alla bellezza degli altri, non ci sarebbe stata ad esempio la Maestà di Simone.
Insomma, cos’è la “tradizione paliesca” nel drappellone? Quei bei costumi, quei riti, che appaiono espressione di una Siena antichissima in realtà arrivano con molta probabilità da uno specifico marketing estetico legato a dei prodotti preindustriali. Concludendo, vale la pena ripetere ciò che ho già scritto: importante è il rispetto dell’iconografia cristiana, mentre lo stile appartiene all’esecutore. E se il realizzatore porta la sua contemporaneità che non può non essere di qualità (ruolo del committente), allora poco male, anzi: tanto di meglio. Il drappellone non appartiene solo alla Festa, ma al sentire collettivo di una collettività, cosi attenta ai particolari nei giorni del Palio.