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24 Giugno 2022Piano Industriale 2022-26
24 Giugno 2022Per un civismo declinato su nuovi modelli culturali
di Germana Marchese
I tempi sembrano maturi ormai per affrontare alcune delle questioni più spinose del pensiero politico contemporaneo che ritornano di frequente nella letteratura e nel dibattito, senza mai produrre vero cambiamento di prospettiva culturale nelle pratiche.
Si tratta ormai di articolare riflessioni complesse sulla formazione politica globale delle “persone”, superando, per quanto possibile, l’analisi di genere della scrittura femminista ed ecofemminista. Nel corso degli ultimi decenni molte voci hanno affrontato con insistenza il tema della responsabilità ecopolitica declinata al femminile; in buona sostanza ne è derivata l’osservazione che le donne fossero più sensibili, in modo innato, a comprendere e tutelare i bisogni di sopravvivenza e di difesa della vita. Sono stati numerosi i contributi di matrice socialista che su questa via, si sono spinti a criticare con decisione un sistema economico basato sulla privatizzazione dei beni comuni. Le lotte per un lavoro socialmente de – gendered vanno in questa direzione. La sostenibilità globale e la giustizia di genere non vengono scisse, sono interconnesse.
In ogni speculazione che riguardi il sociale o le trasformazioni antropologiche, preferisco superare dualismi concettuali e riferirmi ad esseri umani, in tutta la loro diversità, ma dovendo riproporre, in chiave civica, il tema della crisi della rappresentanza e del distacco dalla politica, non posso far a meno di evidenziare che la maggior parte delle persone distanti e demotivate siano donne, di prima e di seconda generazione, per non parlare delle comunità LGBT e dei giovanissimi. Perchè? La risposta più scontata è che la politica, nonostante la pratica della rivendicazione di quote, così com’è non piace proprio, non appassiona, non riesce ad intercettare i veri bisogni, i desiderata. Torniamo quindi al peccato originale, alla incapacità di interpretare le esigenze e di tradurre le proposte in risposte concrete, perchè, come già scritto, su questo campo si giocherà la vera partita in futuro. Il potere, certo potere, pretende di governare un paese che è diventato altro da ciò che era. In questo sforzo titanico, la logica perversa che continua ad escludere, è anche interna a vecchie forme di partito. Di conseguenza il modello di militanza appare sempre più anacronistico e inadeguato ai tempi. Prima di tornare su questo punto cruciale, un piccolo esempio per avere contezza del ragionamento. Nel PNRR molti degli investimenti previsti sono in settori a scarsa presenza femminile come costruzioni, transizione energetica o trasporti. La tendenza sembrerebbe sempre la solita, quella di assegnare alle donne compiti di cura e di “sostegno del vivente”, come qualcuno osserva. Torna quindi il vecchio modello culturale.
Per questa ragione forse, in una diversa prospettiva politica, per la stanchezza di chiedere cambiamenti che non giungevano mai, le donne hanno scelto nel passato in alcuni casi, in alcuni contesti, la via separatista, per rivendicare nuove pratiche e linguaggi più efficaci.
Di fatto, genere, lavoro e natura sono elementi imprescindibili dai quali articolare risposte efficaci alla crisi che stiamo attraversando. Bisogna rimettere in ordine ed in giusta relazione diverse questioni che costituiscono variabili essenziali. Tra queste per esempio il rapporto tra basso tasso di fertilità, occupazione e welfare ma sarebbe necessario altro tempo e altro scritto.
Per economia di spazio e di tempo torniamo al modello di militanza. Se le donne sono ancora svantaggiate nella pratica della vita politica, potrebbero per questo costituire un nuovo modello di riferimento per promuovere soluzioni più rispondenti alle esigenze della società trasformata ed in continua trasformazione. Chiaramente questo processo deve guardare dapprima a chi il potere lo detiene già, innescando un dialogo proattivo e foriero di modernità.
Penso per esempio alle risposte politiche che bisognerà dare al problema trasversale del lavoro precario, a quello mal pagato e part time. È solo uno degli esempi ma basterebbe partire da questa nota per ragionare meglio sui tempi di una nuova militanza, conciliabile con la flessibilità e la precarietà. In aggiunta, bisognerebbe considerare che ormai non esiste più come in passato una separazione netta tra tempo di lavoro e tempo di vita. Il problema riguarda tutti purtroppo.
In che modo allora converrebbe investire le scarse risorse a disposizione per proporre un nuovo modello di militanza? Cominciamo dalle esclusioni, da quelle pratiche deprecabili che purtroppo abbiamo visto e rivisto anche di recente nella gestione amministrativa. NO alle donne riempilista, NO alle nomine strumentali di quelle persone sponsorizzate da coniugi, amici o protettori di cordata, NO a chi decida di impegnarsi sporadicamente sotto ricatto occupazionale.
Una volta scongiurate queste cattive pratiche, veniamo ad alcuni suggerimenti di metodo. Sarebbe auspicabile sostituire le modalità verticistiche e competitive con soluzioni di solidarietà ed interdipendenza, che impediscano le vecchie manovre di corrente, nelle quali le donne faticano terribilmente a riconoscersi. Contaminare un vecchio modello androcentrico del potere, significherebbe promuovere una possibile alternativa di leadership più egualitaria, meno aggressiva e più propensa a negoziare. Soprattutto comporterebbe un ripensamento complessivo delle priorità da affrontare, inteso in termini di servizio alla comunità. Le donne in genere, non tutte purtroppo, gli studi lo confermano, sono meno corrotte e non mirano ad essere rielette perchè lavorano più volentieri in rete sulla visione di lungo periodo.
Modelli in questa direzione ce ne sono, che so viene in mente Jacinta Arden e l’attenzione alle politiche sociali, insomma la sensibilità estrema verso i veri problemi della gente, le vere sfide intorno ai temi essenziali dell’ istruzione, dell’ambiente, della lotta alla povertà, del mantenimento della pace e di un nuovo welfare.
Se questa contaminazione riuscirà a concretizzarsi nella sostanza, all’interno delle nuove esperienze civiche, porterà sicuramente una ventata di freschezza e forse, chissà, anche il desiderio di partecipare e la speranza di futuro.