A tale proposito, la lettera scritta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa il 16 settembre 1979 a Giulio Andreotti, a oggi sconosciuta e che Il Fatto pubblica in esclusiva, è sempre stata lì, ferma, tra le carte dei segreti che scottano e per questo invisibile. In questo caso tra le carte del processo per l’omicidio del giornalista Giuseppe (Mino) Pecorelli ucciso poco prima: il 20 marzo del 1979. Omicidio sul quale pende ancora l’ultima inchiesta aperta dalla procura di Roma nel 2019 grazie al lavoro della giornalista Raffaella Fanelli.
“Continuo a sperare che nel giro di pochi mesi le mie aspirazioni possano trovare la loro realizzazione – scrive Dalla Chiesa rivolgendosi ad Andreotti – e che gli stati emotivi concedano spazio anche a chi, più che apparire, intende conservare la fede nell’umiltà e nella modestia al servizio del nostro Stato. Ma è anche certo che – continua ancora il Generale – nella parentesi per la quale mi si è chiesto di continuare a recitare una parte, le mie prestazioni saranno caratterizzate – come Lei chiede – dal più genuino senso di responsabilità verso il Governo e verso la collettività”.
Il contesto. A Dalla Chiesa era stato da poco affidato il compito di super coordinatore di una struttura interforze antiterrorismo nella quale erano compresi, oltre ai reparti territoriali Anticrimine dell’Arma e ad agenti di Polizia, anche i servizi di sicurezza (come indicano le carte visionate dal Fatto e conservate presso l’Archivio centrale di Stato a Roma). In misura minore anche la Guardia di Finanza. La collaborazione tra il Sismi e Dalla Chiesa durerà 5 mesi: agosto 78-dicembre 79. Un potenziamento investigativo tutto che il ministero dell’Interno e della Difesa avevano cominciato a imbastire però in pieno sequestro Moro, già dall’aprile del 1978.
Dalla Chiesa rispondeva direttamente al ministero dell’Interno, retto da Virginio Rognoni, e alla presidenza del Consiglio (governi Andreotti-Cossiga). Circa 800 documenti, poi, custoditi dalla Prima divisione Sismi (oggi Aise) e redatti in quel periodo sono ancora materia di segretezza, almeno al pubblico, seppure inviati solo in parte alla magistratura negli anni ’90. Prima di questo incarico il generale aveva vigilato sulle carceri di tutta Italia, ruolo che a vicenda Moro già conclusa sarà rilevante. Infatti, a inizio gennaio 1979, il generale, il giornalista Pecorelli e il maresciallo della polizia penitenziaria Angelo Incandela, sentito anche dall’ultima Commissione Moro, si incontreranno in segreto, fuori dal carcere di Cuneo, per incaricare Incandela di recuperare parte delle carte di Moro, l’obiettivo numero uno di Dalla Chiesa in quel periodo, come dichiarato dal generale stesso durante un’audizione alla prima Commissione Moro. Incandela al tempo effettuava all’interno delle carceri attività di spionaggio sia per Dalla Chiesa sia per il Sisde creando per questo attriti tra il generale e il servizio civile. Come è noto storicamente, e stabilito anche da un processo per diffamazione del 2015 contro un ufficiale dei carabinieri che partecipò al blitz del 1° ottobre, Roberto Arlati, assolto per quanto scritto nel suo libro, è un fatto che le carte di Moro, quel memoriale rinvenuto in due fasi in Via Montenevoso 8 (1978-1990), era stato asportato “prima della numerazione dei fogli di cui era composto” e tornato assottigliato.
Dal 29 gennaio 1979, Dalla Chiesa assume il comando della 1° divisone Pastrengo di Milano con competenza territoriale sull’Italia del Nord mantenendo la collaborazione con il Sismi e continuando a occuparsi della lotta al terrorismo sino al 1981.
Pecorelli, Dalla Chiesa, Incandela. Il Maresciallo, deceduto nel 2018, ha sempre rilasciato dichiarazioni nei vari processi che hanno trattato questa materia incandescente. In un verbale del 2016, Incandela sarà anche più esaustivo e riferirà che fu il giornalista Pecorelli, da lui riconosciuto successivamente dalle foto dei giornali quando fu ucciso, a rivelargli come nel carcere di Cuneo entrava materiale di tutti i tipi, inclusi armi e droga. Pecorelli, in quel frangente, gli indicò anche dove avrebbe potuto trovare i documenti-Moro che Incandela due settimane dopo effettivamente rinvenne consegnandoli a Dalla Chiesa. Questa ricostruzione a oggi è stata accertata.
Incandela incontrò più volte Dalla Chiesa negli anni, ma per questo specifico compito ebbe due incontri tra il dicembre ’78 e il gennaio del ’79. Nel 1981 si rivedranno di nuovo per un altro incarico che Dalla Chiesa voleva affidargli sulle carte Moro. In un momento in cui il Generale uscì, riferisce alla Commissione Moro 2 Incandela: “Cercai di sbirciare sollevando dei fogli. Erano fogli dattiloscritti e in uno di essi c’era il nome di Andreotti l’unico che riuscii a memorizzare. Aggiungo che il pacchetto poteva essere di un centinaio di fogli, alto 2 centimetri e mezzo e poteva corrispondere alla quantità di fogli contenuti nel pacchetto a forma di salame (quello da lui rinvenuto a gennaio del 1979 nel carcere di Cuneo ndr)”. Stando al racconto di Incandela, Dalla Chiesa gli chiese di reintrodurre “il salame” nel carcere. Operazione che il maresciallo si rifiutò di fare. Fino al 1993, il sottufficiale conserverà bobine (con cui registrava gli incontri con i detenuti) e documentazione che hanno riguardato questa attività. Poi le distruggerà. Ma di fatto nessuna perquisizione è stata effettuata al riguardo dalla Commissione Moro 2 come ci è stato confermato. Probabilmente questa è stata l’ultima possibilità di avere più notizie sulle carte Moro mancanti – mai rinvenute in forma originale – dopo l’episodio rivelato da Fulvio Martini (ammiraglio a capo del Sismi per molto tempo) all’ex Presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino riguardo la sottrazione di carte Gladio dalla sua cassaforte durante il sequestro Moro.
Le carte di Via Montenevoso sono state oggetto approfondito di indagine durante la Commissione Stragi dalla quale è emerso come nel 2001, negli archivi della Digos di Roma, vennero rinvenuti due faldoni, già classificati come “segretissimi”, contenenti un elenco di donne e uomini, indicati quali “appartenenti Organizzazione Gladio”. La lista è collegata al sequestro Moro ma non è chiaro se fosse parte delle carte di Via Montenevoso.
Pecorelli e la stampa sulle carte Moro. Nell’ottobre del 1978, dopo il blitz di Milano, oltre a Pecorelli sulla rivista O.P., che anticipò alcuni contenuti del memoriale resi noti solo poi nel 1990, ne scrissero anche i settimanali Panorama ed Espresso senza una diretta lettura delle carte, al contrario di Pecorelli che se ne occuperà fino a pochi giorni prima della morte. Nell’ultimo numero, pubblicato proprio il 20 marzo 79, il giornalista torna sulla questione (“Aldo Moro un anno dopo”) citando Dalla Chiesa e una scoperta durante il blitz. Nel 1988 di carte Nato appartenenti al materiale del blitz ne scrisse anche un collaboratore di Dalla Chiesa, Vincenzo Morelli.
Tra marzo e settembre 1979 si consuma dunque quella “recita di una parte” come richiesto a dalla Chiesa? Recita che termina il 3 settembre del 1982 dopo soli 100 giorni come prefetto antimafia in Sicilia? Una possibile lettura. Intanto diversi collaboratori ormai e una intercettazione del boss Guttadauro, allora capo del mandamento di Brancaccio, emersa sempre nel 2001, indicano come quell’omicidio fosse stato frutto di un favore fatto a qualcuno.