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di Michela Rovelli
La decisione della Corte di Giustizia. Confermato anche il provvedimento contro Google
Giusto o sbagliato chiedere quei 13 miliardi di euro a Apple per ripagare le tasse inevase in Irlanda grazie a un accordo fiscale col Paese che è rimasto in essere dal 2003 al 2014? E Google ha davvero sfruttato la sua posizione dominante da motore di ricerca per indirizzare gli utenti verso la sua piattaforma Google Shopping, indebolendo la concorrenza? Dopo 10 anni abbiamo avuto due risposte definitive. La prima mette fine a una delle più lunghe battaglie legali tra la Commissione europea e la società di Cupertino. La seconda conclude una causa partita nel 2017. La parola alla Corte di Giustizia europea, che ha di fatto dato ragione all’Antitrust guidato da Margrethe Vestager.
Partendo da Apple, il trattamento fiscale che l’Irlanda ha riservato alla società per anni è — secondo la Corte di Giustizia europea — un trattamento illegale. E dunque quei 13 miliardi di euro devono essere pagati. «Questo caso non ha mai riguardato la quantità di tasse che paghiamo, ma il governo a cui siamo tenuti a pagarle. Paghiamo sempre tutte le tasse che dobbiamo ovunque operiamo e non c’è mai stato un accordo speciale», risponde alla decisione l’azienda. «La Commissione europea sta cercando di cambiare retroattivamente le regole, ignorando che, come previsto dal diritto tributario internazionale, il nostro reddito era già soggetto a imposte negli Stati Uniti».
Vittoria per i cittadini Ue
Grazie alle nostre indagini le norme sono cambiate, un nuovo caso Apple non potrebbe più accadere
La storia inizia nel 1980, quando Apple decide di installare la sua sede nel Vecchio Continente in Irlanda, a Cork. Nel 2014 viene accusata dall’Antitrust europeo, guidato da Margrethe Vestager, di aver approfittato di una situazione di aliquote vantaggiose concesse dall’Irlanda dal 2003 a quell’anno, grazie a una serie di accordi fiscali. Il Paese, per agevolare le vendite di Cupertino nel continente, avrebbe violato le leggi fiscali concedendo aliquote fiscali bassissime, pari a meno dell’1 per cento, contro il 12,5 per cento previsto. Tale aiuto riguardava il trattamento fiscale degli utili generati da attività di Apple al di fuori degli Stati Uniti. Cosa ci guadagnava l’Irlanda? La promessa che un colosso come Apple avrebbe mantenuto la sua sede europea nei suoi confini, dando lavoro — nella sola città di Cork — a oltre seimila persone. La sentenza arriva nel 2016: si chiede a Apple di pagare 13 miliardi di euro di tasse inevase. Il favorevole regime fiscale, di cui Apple ha goduto in Irlanda, è ritenuto un «aiuto di Stato» concesso dal governo locale ma espressamente proibito dalle norme comunitarie. La cifra viene alla fine versata nel 2018, ma non nelle casse irlandesi bensì in un conto di garanzia. Dove vengono conservate in attesa del ricorso che entrambi i soggetti — Apple e l’Irlanda — hanno portato avanti.
La reazione dei big tech
Siamo delusi, abbiamo apportato modifiche nel 2017 per conformarci alla decisione della Commissione europea
Nel 2020 il Tribunale europeo che stava revisionando il ricorso annulla la decisione dell’Antitrust. Di fatto dando ragione all’Irlanda e a Apple. La Vestager — che ha fatto della lotta ai privilegi dei colossi tech e alla concorrenza fiscale «sleale» in Ue la sua missione — torna in tribunale con un nuovo ricorso. Sulla cui conclusione si era già espresso l’avvocato generale Giovanni Pitruzzella: in un parere non vincolante aveva raccomandato di annullare la sentenza del 2020. Ieri la Corte di Giustizia europea ha messo la parola fine alla battaglia legale.
Nella stessa mattinata la Corte di Giustizia europea ha confermato anche un’altra decisione: Google dovrà pagare la sanzione di 2,4 miliardi di euro che la Commissione europea le aveva inflitto nel 2017 per abuso di posizione dominante favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti, Google Shopping. «Siamo delusi», ha dichiarato un portavoce dell’azienda. «Abbiamo apportato modifiche per conformarci alla decisione della Commissione europea e il nostro approccio ha funzionato con successo per oltre sette anni, generando miliardi di clic per oltre 800 servizi di comparazione prezzi».