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Solo un saluto
22 Febbraio 2025
Convention di Trump, alla fine Meloni ci sarà in video. Che cosa dirà la premier: patria, famiglia e poca Kiev
22 Febbraio 2025
Dividere la partita in due tempi. Portare Putin al tavolo, promettendogli ciò che vuole, e cercare poi una sorpresa, con le truppe Nato. Un viaggio oltre le oscenità di Trump, per dare un senso al triste disorientamento sull’Ucraina
L’incredibile violenza politica, verbale e strategica mostrata negli ultimi giorni da Donald Trump, e dalla sua Decima Musk, sul tema del possibile negoziato in Ucraina ha generato, nel cuore di tutti coloro che negli ultimi tre anni hanno considerato cruciale per la difesa della nostra libertà la difesa di un popolo libero aggredito dall’esercito guidato da un dittatore criminale, non solo un sentimento di sconforto ma anche un senso di disorientamento totale. Lo sconforto è facilmente spiegabile: vedere il presidente della democrazia più importante del mondo impegnato a far propria l’agenda del putinismo per delegittimare il presidente di un paese che negli ultimi tre anni ha contribuito a difendere con l’aiuto dell’occidente libero i confini delle democrazie è un dolore infinito. Ma accanto allo sconforto ciò che suscita ancora più smarrimento, se possibile, è il senso di spaesamento assoluto generato dalla strategia di Trump. Nel corso degli anni, Trump, pur nella sua follia politica, ha dimostrato di avere un metodo nei negoziati: quando vuoi ottenere qualcosa, per ottenerla, prima devi spararla molto grande, e poi puoi cominciare a trattare. Nelle ultime settimane, questo metodo
è stato adottato quando si è parlato di dazi (vedi il caso del Messico: dazi durissimi annunciati, salvo poi ritirarli quando il governo messicano ha promesso di presidiare i confini con più militari) ed è stato adottato quando si è parlato di medio oriente (il folle progetto del grande real estate trumpiano a Gaza, ha scritto due giorni fa il New York Times, ha contribuito a smuovere le acque tra i paesi arabi, in primis i sauditi, che da giorni hanno attivato fitti colloqui per ragionare per il dopo Gaza a un’alternativa al piano Trump). Sull’Ucraina, invece, Trump ha adottato una strategia opposta: costruire un negoziato al ribasso, offrendo all’amato Putin, preliminarmente, tutto quello che Putin ha sempre chiesto, umiliazione compresa di Zelensky (al momento, l’unica distanza che vi è fra Trump e Putin, sull’Ucraina, è la volontà comune di denazificarla, ma c’è tempo per arrivarci). Il disorientamento dunque è totale e la questione vitale da mettere a fuoco in queste ore è dunque una: provare a dare un ordine a ciò che a prima vista sembra non avere alcun senso e sembra essere solo disordine assoluto. E’ possibile farlo? Proviamo.
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Oltre la vergogna su Kyiv, c’è anche un ordine? Un viaggio
Ieri il Foglio ha avuto la possibilità di parlare con una fonte importante, non rivelabile, a contatto diretto con il dipartimento di stato americano. La fonte ci ha offerto numerosi spunti per provare a dare un ordine al caos. Il primo punto importante, per provare a capire a cosa punta Trump, umiliazioni a parte, è la divisione della partita in due tempi. Il primo tempo comprende solo un unico obiettivo: portare al tavolo delle trattative, in modo ufficiale, Vladimir Putin. Per farlo, nella logica di Trump, occorre concedere a Putin tutto quello che chiede, a livello verbale, e non offrire un solo alibi, al presidente russo, per non sedersi al tavolo. Obiettivo: farlo sentire al sicuro. Il passo successivo prevede la presenza di un secondo tempo. E quel tempo è il tempo delle trattative e del negoziato. E una volta che il negoziato si apre, come è evidente, si sa da dove si comincia ma non si sa dove si finisce. Nel momento in cui si apriranno le trattative, uno dei punti più importanti da definire coinciderà, ovviamente, con la definizione esatta delle porzioni di Ucraina conquistata dalla Russia che verranno concesse a Mosca e delle porzioni di Ucraina che invece resteranno come zone contese, non riconosciute a livello internazionale. Su quel confine, dovranno essere schierate delle truppe. Trump ha annunciato di volere azzerare il sostegno militare all’Ucraina e se questo fosse confermato l’impegno per la difesa dei confini dell’Ucraina in caso di accordo di pace dovrebbe ricadere tutto sugli eserciti europei. Il premier britannico
Keir Starmer, la prossima settimana, andrà alla Casa Bianca, da Donald Trump, anche per parlare anche di questo e ragionare su un piano per l’Ucraina da 30 mila soldati europei. A quanto risulta al Foglio, diverse cancellerie europee e diversi eserciti europei, compreso quello italiano, hanno ricevuto informazioni diverse, dalla diplomazia americana, e il numero totale di Forze armate che verrebbe richiesto in caso di impegno europeo sarebbe circa del doppio: 60 mila unità. Se questa dovesse essere la strada, l’Italia ha già quantificato internamente, tra gli apparati della Difesa, un impegno pari a circa mille unità (verrebbe coinvolta, nel caso, secondo quanto risulta al Foglio, la Multinational Specialized Unit). Ma ciò che il dipartimento di stato ha fatto pervenire ad alcuni interlocutori in Europa, e anche in Italia, riguarda quello che potrebbe essere il colpo di scena del secondo tempo: una volta fatto avvicinare Putin al tavolo, e fatto sedere con tutti i comfort e gli scalpi richiesti, abbandonare l’ipotesi degli eserciti europei e mettere in campo due opzioni, per evitare di allontanare l’America dai confini dell’Ucraina. La prima: una forza di interposizione, di peackeeping, sotto l’egida delle Nazioni Unite, che però per essere approvata avrebbe bisogno dell’approvazione (o del non voto contrario) del Consiglio di sicurezza dell’Onu (problema: nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, c’è anche la Russia). La seconda è quella che non vorrebbe Putin ma che potrebbe diventare la svolta del negoziato: truppe sotto l’egida della Nato (in questo caso l’Italia non sarebbe coinvolta, ma sarebbero coinvolti gli eserciti dei paesi dell’Est Europa), che potrebbero avere un mandato simile a quello che ebbero le truppe Nato nel 2010 in Iraq (addestrare il personale). Non è quello che vuole Putin, ma è quello che potrebbe volere Trump, che una volta portato al tavolo delle trattative la Russia potrebbe tentare di fare quello che oggi non vuole fare: mettere Putin nelle condizioni di dover scegliere di fronte alle condizioni americane di far saltare o no il tavolo, e nel caso di assumersene la responsabilità. Per non perdere la faccia e non perdere l’occasione di avere un piede in Ucraina, anche in vista di una ricostruzione che potrebbe essere un business non meno interessante rispetto al controllo delle terre rare. Trovare una consolazione di fronte allo sconforto generato dal bullismo di Trump è quasi impossibile. Trovare un ordine forse no. Crederci è un conto, provare a capire un altro. Chissà.