Dal piano ammezzato di via Maiella 15, Roma non si vede. Ci sono prati e campagne, un ponte e un fiume nel mezzo. Dal suo balcone, però, Dario Funaro, 13 anni, Roma la riesce a vedere: immagina non solo una città oltre la periferia di via Maiella 15, ma un mondo intero senza fascisti e persecuzioni. È il 1943. Dario esce dalla palazzina, incrocia zia Giuditta, l’ostetrica che prima delle leggi razziali ha fatto nascere tutto il quartiere Montesacro. Scende di corsa sotto il ponte vecchio e raggiunge la sua comitiva al bell’orizzonte, la spiaggetta lungo il fiume Aniene: Fernando Agnini, 19 anni, ha un ideale che lo ossessiona e gli fa perdere il sonno. È sempre in giro per creare rapporti con gli studenti antifascisti degli altri quartieri. Poi c’è Orlando Posti, 17 anni: ha la fissa di scrivere e di organizzare la loro lotta. Dario, Nando e Lallo mettono via pantaloni e camicia, si tuffano e fanno a gara a chi arriva per primo al salice. Si sono dati un nome: i caimani del bell’orizzonte. Hanno l’età per divertirsi, nuotare controcorrente, allenare nel fiume la resistenza dei corpi, accendere nel tramonto la visione incandescente del loro futuro.

La battaglia di Porta San Paolo

Il 25 luglio 1943 Dario accorre con gli altri in piazzetta dove la gente è in festa. La radio a tutto volume annuncia: «Mussolini è stato arrestato». L’audio arriva da una finestra della scuola Don Bosco dove è di stanza un allievo del reggimento di fanteria. Quel soldato fa di nome Beppe Fenoglio e nel 1959 racconterà la sua esperienza a Montesacro nel libro Primavera di bellezza. L’estate del ’43 è un tempo incerto per i caimani. Loro non smettono di sentirsi pronti.

Arriva l’8 settembre. I ragazzi hanno due giorni per recuperare le armi e unirsi agli altri antifascisti: bisogna fermare l’avanzata dei tedeschi. L’appuntamento è a Porta San Paolo. Il 10 settembre in via Maiella 15 Dario evita di incrociare lo sguardo del padre, stringe la spalla della madre, scompiglia i capelli al fratello e va. Sul campo di battaglia segue il gruppo. Appostati lungo le mura, usano i tram rovesciati come scudo. Dario ha il compito di ricaricare i fucili. A ogni esplosione lo stomaco gli scoppia in gola. Lo ha visto fare, è la sua prima volta: imbraccia il fucile e spara. Le cose si mettono male. Le truppe tedesche entrano e si prendono Roma. Un gruppo di antifascisti, però, attacca una casermetta e si impadronisce di moschetti e bombe a mano che distribuisce ai combattenti del Viminale, San Lorenzo e Montesacro. Il giorno dopo, i caimani buttano le braccia al fiume. Avvolti in un telo, accendono un piccolo fuoco. Parlano sottovoce: la posizione decentrata del loro quartiere può essere decisiva nella resistenza contro l’occupazione tedesca. Fanno azioni di sabotaggio. Chiedono a Cesare, il fabbro di ponte Nomentano, di fabbricare chiodi a quattro punte con cui bucheranno i pneumatici dei convogli nazisti per bloccarne l’avanzata. Dario ha sempre 13 anni ma ne sente molti di più, sente che il tempo per lui corre veloce come il vento.

La fine dei caimani

È un giorno di vento il 16 ottobre 1943. Dario è con gli altri quando vede gli autocarri in via Maiella: su un camion diretto ad Auschwitz i nazisti stanno caricando il padre Leo con la faccia insanguinata, la madre Teresa, il fratello Adolfo e gli zii. Scappa, gli dicono i compagni. Lui guarda il padre: deve essersi opposto ai tedeschi che lo hanno colpito in testa col calcio del fucile. Non fa in tempo a decidersi che un nazista lo afferra e lo sbatte sul camion insieme alla sua famiglia.

Il 18 novembre 1943 Nando manderà alle stampe La Nostra Lotta, forse il primo giornale clandestino studentesco stampato in Italia. Imprigionato in via Tasso e sottoposto a torture atroci, non parlerà mai. Nel 1944 Lallo verrà rinchiuso anche lui in via Tasso, dove scriverà lettere e poesie. Sarà fucilato alle Fosse Ardeatine.

74 anni dopo

Nel 2017 Francesco Abbruzzese ha 15 anni e di Dario Funaro conosce il nome e alcune date. Frequenta il liceo Aristofane di Roma dove la professoressa Maria Rosati ha avviato il progetto “Il fiore del partigiano”: dare ai nomi della resistenza di Montesacro, una storia. «I miei studenti hanno ricercato e ricostruito. C’è stato un passaggio di testimone da quei ragazzi che hanno capito da che parte era giusto stare ai ragazzi che oggi portano avanti la loro memoria». Francesco setaccia gli archivi. Cerca le persone anziane del quartiere, chiunque avesse conosciuto o avuto notizie di Dario Funaro. Raccoglie, insieme ad altri compagni, la testimonianza della cugina di Dario, Perla Funaro, che si è salvata dal rastrellamento perché cattolica e ha aiutato a ricostruire quanto oggi sappiamo e possiamo ipotizzare su Dario.

«Voglio mostrarvi alcune carte», dice a Domani Francesco, ora 23 anni. «Dario è entrato nelle nostre vite. Io ero ossessionato dalla ricerca. I grandi archeologi cercano tesori, noi cercavamo un foglio». In un bar a pochi passi da via Maiella Francesco sfila dallo zaino copie a colori di documenti storici, tra cui le pagelle della scuola ebraica Pestalozzi dove di Dario si dice: «Non ha studiato il programma. Ha bisogno di formarsi seriamente». In un altro documento è scritto: deceduto in luogo ignoto in data ignota. «Non è stato mai trovato il suo nome nelle liste dei campi di sterminio», dice Francesco. «Ragionando per assurdo, se è nato nel 1930 e se non sappiamo dove e quando è morto, in teoria potrebbe essere ancora vivo». Perché allora non abbiamo sue notizie e non è mai tornato per parlare? «Per raccontarsi bisogna far pace con le atrocità che hai vissuto. È stato così anche per Liliana Segre».

Per lui Dario vive non in senso anagrafico: esiste nel tempo del suo presente. Oggi Francesco prosegue la sua ricerca affinché Dario Funaro continui a parlarci. In ultimo, tira fuori una foto dove è ritratta la famiglia Funaro. Il padre, la madre e il fratello sono stretti nei loro cappotti, le mani lungo i fianchi. Dario è l’unico ad avere la giacca sbottonata, la cravatta che sbatte a un lato, le mani in tasca. Sembra che il vento soffi solo per lui, che nelle tasche stringa i pugni del coraggio, che i bottoni non possano contenere la voglia di vivere quando scoppia nel petto. «Io combatto contro la dittatura», pensa Dario in quello scatto. «Voi ricordatemi non perché morirò, ma per come ho vissuto. Continuate la lotta contro i fascisti e per la nostra idea di mondo anche per me». Il caimano di 13 anni che dava bracciate al fiume.

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