
Gaza, fame, guerra e responsabilità
28 Luglio 2025
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28 Luglio 2025L’inchiesta di Milano e la grande confusione sotto il cielo della giustizia italiana. Un saggio
Le cronache giudiziarie di questi giorni; il richiamo – probabilmente a torto – di una nuova Tangentopoli a trent’anni di distanza dalla prima; l’esposizione di tesi difensive (giustificata anche dalla recente innovazione in tema di premessa doverosa ma discutibile alle misure cautelari); l’incentivo a strumentalizzazioni e fake news; la scarsa conoscenza delle regole e la curiosità. Sono tutti coefficienti di una confusione che richiede un minimo di chiarezza per la comprensione e riflessione sulle tesi che da più parti (accusa, difesa, opinione pubblica) si sovrappongono e si confrontano. Quindi richiede un richiamo sommario sia delle regole sul significato, obiettivi e disciplina dell’informazione sul tema e le sue premesse; sia soprattutto sulla disciplina sostanziale e sulla storia recente del tema della corruzione di cui discutiamo.
Quanto all’informazione dei media è ampiamente noto che la pubblicazione di notizie vìola spesso norme mal scritte, ambigue e ipocrite sul segreto investigativo e sul divieto di pubblicazione degli atti d’indagine. In genere tali violazioni non sono perseguite, per molteplici ragioni. L’informazione compie “solo” il suo dovere quando pubblica notizie di interesse pubblico, purché rispettino “i limiti della verità (quanto meno putativa), della continenza e della pertinenza”. In tal caso non soltanto si beneficia della scriminante del diritto di cronaca rispetto ad attribuzioni oggettivamente diffamatorie, ancorché in sé “vere”. Ma si “scarica” sul provvedimento giudiziario il riscontro del requisito della verità del suo contenuto.
Diagnosi e cura per la giustizia malata
L’inchiesta di Milano come cartina di tornasole. La corruzione, che è cambiata nelle sue modalità. Il ruolo e i limiti dell’informazione, la confusione legislativa, il populismo penale e la sempre più ingombrante “supplenza giudiziaria”
La persona indagata è “presunta innocente” fino a sentenza definitiva, nel rispetto del decreto legislativo 188-2021 (una delle tante “riforme Cartabia”). Quel decreto attua una direttiva europea rivolta non ai giornalisti ma agli stati e alle autorità giudiziarie, affinché non vengano attribuite responsabilità come se fossero già accertate in sentenza; e non siano indicate come colpevoli persone non condannate definitivamente (spesso neppure imputate) secondo un principio da 75 anni nella nostra Costituzione.
Definire il concetto di continenza spetta ai giornalisti, alla loro esperienza e professionalità; se necessario ai loro organi disciplinari o eventualmente al giudice. E’ continenza il rispetto dell’altro; l’esposizione di ciò che è utile o necessario perché io possa dire quello che penso o che ritengo sia di interesse pubblico. Altro discorso è la continenza degli atti giudiziari, che spesso manca anch’essa.
Nel racconto giornalistico di indagini in corso – al di là delle tesi difensive o accusatorie – primeggia il contenuto delle intercettazioni e della corrispondenza tra gli indagati o tra indagati e soggetti terzi, anche grazie alla maggior frequentazione tra avvocati difensori e pubblici ministeri. Le intercettazioni e il sequestro di corrispondenza (quest’ultimo eseguito ormai prevalentemente tramite estrazione di copia di mail e messaggi dagli smartphone e dai pc) devono essere indispensabili con riferimento all’investigazione su uno specifico reato. Le ragioni che rendono l’argomento incandescente sono almeno quattro.
La prima ragione: sono in gioco interessi primari dell’ordinamento: la libertà personale, la riservatezza, la sicurezza, l’accertamento di giustizia, il diritto di informazione e di cronaca.
La seconda ragione: non sempre la questione riguarda delle norme, ma dei comportamenti. La legge già prevede il requisito della “assoluta indispensabilità” delle intercettazioni: non si possono utilizzare in altri procedimenti, salvo che l’intercettazione sia indispensabile e rilevante per accertare delitti specifici indicati dalla legge. Per il sequestro di dispositivi informatici e del loro contenuto occorre una disciplina aggiornata alle novità della tecnica, secondo le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale nel 2023. Lo strumento penale serve per accertare e se del caso punire fatti criminali; non per risolvere fenomeni sociali. Tanto meno per fondare valutazioni di carattere etico o politico o “elettorale”, in nome di una pretesa “trasparenza” di tutti e/o a favore di tutti (magari con i social).
La terza ragione: gli interventi del legislatore sono stati caotici e contraddittori. Le norme sono complicate e contorte come quelle sul merito dei comportamenti in esame.
La quarta ragione: l’evoluzione tecnologica ha coinvolto tutti i mezzi di ricerca della prova, dalle analisi del Dna alle qualità delle riprese video, alla geolocalizzazione, agli strumenti di “ forensic” e alla loro utilizzazione e applicazione ora anche “retroattiva”. Per le comunicazioni e le conversazioni private, alle intercettazioni telefoniche o ambientali “tradizionali” si è aggiunto “il captatore informatico” ( trojan), di difficile controllabilità nell’uso.
La maggior parte delle intercettazioni pubblicate dai media proviene dalle ordinanze di custodia cautelare. A seguito della recente modifica dell’art. 114 c.p.p. il mondo dei media ha parlato di nuova “legge-bavaglio”; la politica invece di misura necessaria per la riservatezza e il sereno svolgimento delle indagini preliminari. Entrambe le posizioni appaiono eccessivamente influenzate dall’appartenenza alle rispettive categorie.
E’ certamente necessaria una maggiore responsabilizzazione dei giornalisti. Troppo spesso la “fame di notizie” conduce alla distruzione della reputazione di terzi estranei alle vicende; o spinge alla violazione dei più elementari principi di civiltà giuridica. Però non è tanto problematica la pubblicazione degli atti in sé, quanto il modo in cui le informazioni all’interno di quei provvedimenti vengono riportate.
La continenza e la pertinenza – peraltro espressamente previste dalla legge – dovrebbero riguardare sia il pubblico ministero che chiede la misura, sia il giudice per le indagini preliminari che la concede.
L’attività giudiziaria fornisce materiali appetibili per il mondo dell’informazione sotto molti profili. Quei materiali agevolano il controllo sociale e quello sui pubblici poteri da parte dei giornalisti: un compito primario dell’informazione in un paese libero. Ma soddisfano anche curiosità umanamente comprensibili, che dovrebbero essere sottoposte a un vaglio critico e a un rigoroso filtro deontologico.
Resta fermo e difficilmente contestabile un principio di fondo che discende dai tre capisaldi fissati dalla Costituzione: il diritto a manifestare a tutti le proprie opinioni (articolo 21); quello di limitarle soltanto ad alcuni destinatari (articolo 15); il diritto al silenzio ( nemo tenetur se detegere; cogitationis poenam nemo patitur).
L’informazione da valore fondamentale quale era è diventata un prodotto commerciale e uno strumento politico, entrambi ampiamente condizionati dal profitto e dal potere. Quanto meno l’informazione acquisita in sede giudiziaria e investigativa – con i suoi limiti, le sue possibilità e i suoi fini “di giustizia” – non può diventare uno strumento etico di controllo generale della “moralità” di una persona per quanto “pubblica”. Tanto più in un contesto che vede allargarsi la prevenzione dei reati rispetto alla loro repressione.
Si parla tuttora di ruolo essenziale del “quarto
potere” – quello dell’informazione – per la democrazia: ma quale “potere”? Perché quarto e rispetto a chi lo precede? Quale “informazione”? Sono realtà tutte da chiarire per consentire in primo luogo che giustizia, politica e informazione facciano ciascuna il proprio “mestiere” senza sovrapposizioni, ambiguità e strumentalizzazioni o “vendette”. Il dibattito richiede – almeno nella fase della ricostruzione di ciò che è successo – chiarezza, rispetto reciproco dei suoi protagonisti e soprattutto delle loro competenze istituzionali nonché dei loro diritti.
La cronaca giudiziaria svolge tuttavia un ruolo particolarmente importante – e altrettanto delicato – in una società come la nostra. In essa per un verso manca una vera e propria cultura della legalità; per un altro verso l’indifferenza e l’ignoranza del rapporto fondamentale fra dignità, libertà e democrazia ha aperto le porte ad un pericoloso populismo penale. In materia di contrasto alla corruzione le imprese – soprattutto quelle di grandi dimensioni – si sono dotate di protocolli volti a garantire integrità, trasparenza e prevenzione anche nel rispetto di standard internazionali. A livello normativo si è verificato l’allargamento della operatività degli strumenti investigativi (cfr. il c.d. trojan) e della custodia preventiva. Si è consolidato il ricorso al “doppio binario” processuale per criminalità organizzata e corruzione. Si è affiancata al magistrato l’Autorità nazionale anticorruzione con l’attribuzione di molteplici poteri. Non si è peraltro mantenuto l’impegno da essa richiesto di rafforzare i controlli di carattere amministrativo in sede di prevenzione nel momento in cui si è eliminato – per la sua genericità e “inutilità” pratica – lo strumento di controllo rappresentato dall’“abuso d’ufficio” (art. 323 c.p.). Un dictat già presente in passato con l’eliminazione del reato di “interesse privato in atto d’ufficio” (art. 324 c.p.).
L’anticipazione del “contraddittorio” per la richiesta di misure cautelari da parte del pubblico ministero al Gip rappresenta un’ulteriore, probabile e inevitabile applicazione, in pratica, delle regole instauratesi nella prassi. La “informazione di garanzia” per l’interessato coinvolto nell’indagine è divenuta una sorta di “garanzia di informazione” per i terzi; una sorte “analoga” è prevedibile per il dibattito sulla misura cautelare.
Le novità non sembrano tradursi tuttavia in un freno efficace alla corruzione. La reazione dell’opinione pubblica al fenomeno diminuisce in misura proporzionale alla scoperta e al contrasto di essa quando dai vertici e dalle figure di spicco dell’ammini strazione pubblica e delle imprese si scende alla quotidianità della “piccola e media” corruzione. *** Quanto al merito della corruzione, l’in capacità della politica di affrontare e risolvere sia questioni sociali, sia offensive criminali costantemente nuove ha determinato una sempre più ingombrante “supplenza giudiziaria”. La corruzione però è cambiata profondamente nelle sue modalità, obiettivi e presupposti.
Dagli inizi degli anni ‘90 la magistratura ricorreva al diritto penale societario e al falso in bilancio per colpire il terreno di Nerolandia, ossia la provvista di denaro per commettere o per occultare la corruzione di Tangentopoli e dei suoi rapporti criminosi con Mafia City da parte delle imprese, in uno con il delitto di finanziamento illecito dei partiti. Le riforme del 2012 e del 2015 hanno trasformato il volto della corruzione rispetto alla sua tradizione di scambio a due e al suo significato di lesione del prestigio della pubblica amministrazione.
A ciò si è aggiunta l’evoluzione – se pure con esiti non soddisfacenti – della responsabilità degli enti da reato di cui al decreto legislativo n. 231-2001, che non a caso nasceva dalla legge delega 300-2000, di ratifica della Convenzione Ocse del 1997 sulla corruzione.
La c.d. legge Severino ha sostituito il reato di infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità con il delitto di corruzione fra privati; ha inserito la corruzione privata “attiva” nel novero dei reati suscettibili di generare la responsabilità per gli enti. Si è saldato così il legame fra compliance aziendale ed esigenza di prevenire fenomeni corruttivi anche nelle relazioni tra le società private.
Con la legge “ spazza-corrotti” invece sono state introdotte tra le altre previsioni la procedibilità di ufficio per i reati di corruzione e di istigazione alla corruzione fra privati; nonché l’aumento della durata delle sanzioni interdittive a carico di società responsabili ai sensi del decreto legislativo n. 2312001. Si era anche introdotta l’ostatività per i reati contro la Pa (come avviene per i reati di mafia e terrorismo), salva l’abolizione della previsione ad opera del governo attuale.
Tra gli elementi più significativi di questa profonda trasformazione della corruzione vi sono il mercato globale e la sua dimensione internazionale; la lesione ai canoni di eguaglianza e competitività; la trasformazione delle tecniche corruttive anche alla luce del decentramento regionale e della privatizzazione delle modalità e decisioni di impiego del pubblico denaro; la “coincidenza” anche temporale fra la stagione delle “stragi di mafia” a Palermo e quella di Mani Pulite a Milano nel 1992; la risonanza internazionale di entrambe e la reazione nazionale, convenzionale e internazionale ad esse.
La corruzione è ancora un problema del nostro paese e spesso si ricorre ad essa per governare o per ottenere benefici. Sono frequenti le inchieste giornalistiche e le indagini penali sui grandi appalti e sulle grandi opere. Al di là dell’accertamento delle responsabilità penali emerge come sia ancora debole il cordone di protezione della legalità e ancora più fragile il “palazzo di cristallo” della pubblica amministrazione.
Alcune recenti vicende giudiziarie che hanno riguardato fenomeni corruttivi in ambito politico dimostrano che c’è ancora molto da fare per diffondere la cultura della legalità a tutti i livelli. Confermano che il contrasto alla corruzione tramite la minaccia penale non può e non deve trasformarsi in “eccesso di controllo” e in nuove e pericolose prospettive di delegittimazione del sistema politico in favore della riaffermazione del ruolo “pubblico” della magistratura penale.
L’associazione della corruzione del grande gruppo imprenditoriale con le logiche della criminalità organizzata può essere fuorviante; rischia di far perdere l’attenzione sulla vera natura della corruzione di impresa. Quest’ultima corrompe perché conviene economicamente: costa meno commettere l’illecito piuttosto che rispettare la normativa di settore o i particolari requisiti del bando o della gara pubblica.
La corruzione diventa scelta illecita di business. Su questo piano deve essere contrastata; ferma restando la distinzione tra omertà comune ad entrambi i protagonisti del “patto corruttivo”; fra esponenti della criminalità organizzata e imprenditori. La corruzione fra loro spesso è fondata su presupposti di comune convenienza e non solo di paura.
In questo senso è particolarmente opportuna l’attenzione dedicata dall’Autorità anticorruzione (Anac) al tema dei controlli preventivi sulla trasparenza e sul “ciclo di vita dei contratti pubblici”.
Il problema del rapporto fra il processo al singolo e quello al sistema si polarizza soprattutto sul tema della corruzione, nell’ottica nazionale e in quella sovranazionale e comunitaria. Rientra in quest’ambito l’introduzione di fattispecie penali con scarsa tassatività come il traffico di influenze illecite – oggi oggetto di riforma per una sua migliore precisazione – e la c.d. corruzione per induzione. Quest’ultima rappresenta la risposta alla richiesta europea di una maggior chiarezza e semplicità nel rapporto fra corruzione e concussione, fra il privato concorrente o vittima e il pubblico operatore.
Alla ipotesi già tradizionale della corruzione del pubblico ufficiale “ per un atto contrario ai doveri di ufficio” si affianca quella “ per l’esercizio della funzione”.
Essa sostituisce la precedente ipotesi di “ corruzione per un atto d’ufficio” rendendo meno tassativa l’indicazione della condotta delittuosa.
Un ulteriore indebolimento al principio di tassatività di quest’ultima è rappresentato dalla plasticità, dalla elasticità e dalla fluidità dei controlli che le più recenti applicazioni di intelligenza artificiale propongono per il monitoraggio continuo e il controllo dello svolgimento della attività lavorativa con i processi di automazione e innovazione sempre più sviluppati per essa.
Le intercettazioni e il sequestro di corrispondenza devono essere indispensabili con riferimento all’investigazione su uno specifico reato. Lo strumento penale serve per accertare e se del caso punire fatti criminali, non per risolvere fenomeni sociali. Gli interventi del legislatore sono stati caotici e contraddittori L’informazione da valore fondamentale quale era è diventata un prodotto commerciale e uno strumento politico. L’informazione acquisita in sede giudiziaria e investigativa non può diventare uno strumento etico di controllo generale della “moralità” di una persona per quanto “pubblica”