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di Giovanni Bianconi
Il sottosegretario oggi in Procura. Fu lui a chiedere le carte al Dap. L’opposizione: deve lasciare
ROMA L’inchiesta a carico di Andrea Delmastro delle Vedove è nata dall’esposto del deputato Angelo Bonelli, di Alleanza Verdi e Sinistra, ma l’iscrizione del sottosegretario alla Giustizia sul registro degli indagati non è il classico «atto dovuto» seguito a una denuncia (in questo caso di un avversario politico). Prima di procedere alla convocazione dell’interessato accompagnato da un avvocato difensore, la Procura di Roma ha acquisito documenti e ascoltato testimoni, arrivando a una ricostruzione dei fatti abbastanza completa; solo successivamente i sostituti procuratori Gennaro Varone e Rosalia Affinito, coordinati dall’aggiunto Paolo Ielo e dal capo dell’ufficio Francesco Lo Voi, hanno costruito un’ipotesi d’accusa — violazione di segreto d’ufficio — considerata sufficientemente solida da chiedere spiegazioni all’inquisito. Di qui la decisione dell’interrogatorio, fissato per oggi. Che ha immediatamente provocato una nuova richiesta di dimissioni da parte delle opposizioni.
Il ruolo di DonzelliIl deputato Giovanni Donzelli — coordinatore di Fratelli d’Italia, stesso partito di Delmastro, nonché vicepresidente del comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti — sarà ascoltato in seguito, presumibilmente come testimone. Perché tutta la vicenda nasce dal suo intervento del 31 gennaio scorso nell’aula di Montecitorio, quando accusò quattro parlamentari del Pd, andati tre settimane prima nel carcere di Sassari a incontrare Alfredo Cospito in sciopero della fame, di «incoraggiare» l’anarchico «nella sua battaglia» contro il «41 bis». In quell’occasione Donzelli svelò i dialoghi tra Cospito e due compagni di detenzione affiliati a camorra e ‘ndrangheta, nei quali l’anarchico diceva che la protesta contro il «carcere duro» doveva essere in favore di tutti; sostenuto dagli altri due che lo invitavano ad «andare avanti» perché «pezzetto dopo pezzetto si arriverà al risultato». Con conseguenti grida contro i deputati del Pd: «Vogliamo sapere se questa sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi e della mafia!».
Donzelli parlava leggendo i resoconti di due «documenti presenti al ministero della Giustizia», e subito si scoprì che a darglieli era stato proprio il suo collega e coinquilino Delmastro. L’indomani Bonelli ha presentato l’esposto denunciando la diffusione di «informazioni sensibili che hanno carattere riservato e non sono nella disponibilità dei parlamentari». È il nocciolo dell’indagine svolta fin qui dai pm che ruota intorno a una domanda: il sottosegretario alla Giustizia poteva avere quei documenti e rivelarne il contenuto a un collega che ne ha fatto un uso politico?
La difesa di NordioIn Parlamento il ministro Carlo Nordio ha spiegato che sulle carte arrivate al suo sottosegretario e poi svelate da Donzelli non c’era alcun vincolo legato a «segreti di Stato» o altre «classificazioni di segretezza», nonostante la dicitura «di limitata divulgazione» apposta su quei documenti. Dunque niente di illecito. Questione chiarita e caso chiuso da «parole chiare e definitive», come ha ripetuto l’altro ieri Delmastro. Non per gli inquirenti, però. Perché al di là del «segreto di Stato» e formule correlate, esiste un segreto d’ufficio, per l’appunto, che non ha niente a che fare con le norme citate da Nordio ma vale per tutti gli uffici pubblici. Compreso il ministero della Giustizia. Dove Delmastro ha sì la delega su una parte degli affari relativi alle carceri , ma non quella sul «trattamento detenuti», a cui invece si riferivano le conversazioni ascoltate dagli agenti penitenziari e riferite nelle relazioni di servizio inviate al vertice del Dipartimento di quell’amministrazione, il Dap. Che quindi non sono state trasmesse a Delmastro per ragioni d’ufficio, ma perché è stato lui a chiederle. E con una certa sollecitudine, ha spiegato il direttore del Dap Giovanni Russo, uno dei testimoni ascoltati prima della convocazione del sottosegretario.
Perché Delmastro ha chiesto quelle relazioni? Chi l’aveva avvisato della loro esistenza? La visita di deputati del Pd a Sassari del 12 gennaio era nota, ma i colloqui tra Cospito e i boss di ‘ndrangheta e camorra no. Questo è uno degli snodi della vicenda, l’antefatto che serve a spiegare il fatto: la diffusione di documenti che non solo non possono essere divulgati secondo le regole interne agli uffici pubblici, ma che un apposito decreto ministeriale del 1996 definisce «inaccessibili» dall’esterno anche per chi ne facesse formale richiesta.
«Atti inaccessibili»Fra questi rientrano «relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o documenti che contengono notizie la cui conoscenza sia di pregiudizio concreto ed effettivo alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica degli istituti penitenziari e dell’attività di prevenzione e repressione della criminalità». Difficile immaginare che questa categoria non includa conversazioni in cui si possono intravedere le strategie mafiose contro il «41 bis» denunciate proprie da Donzelli alla Camera.
Appena s’è saputo della convocazione del sottosegretario indagato da parte dei pm sono scattate le (scontate) reazioni politiche. Da Fratelli d’Italia i capigruppo parlamentari Tommaso Foti e Lucio Malan sono tornati a citare Nordio: «Quei documenti non erano secretati, e tutto sarà chiarito in tempi brevi»; dal fronte omologo e opposto, quello del Pd, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi ribadiscono che «le dimissioni di Delmastro sono doverose non per l’indagine della Procura di Roma, ma per le sue gravi responsabilità politiche e istituzionali».
Con il Pd si schierano Bonelli e i Cinque stelle, mentre il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano (che l’altro ieri ha incontrato Delmastro), da ex magistrato si limita ad ammonire: «L’iscrizione sul registro degli indagati non è una condanna».