Luca Valtorta
DRAVENNA a Palazzo Malagola si staglia il campanile cilindrico della basilica di Sant’Apollinare Nuovo. Una meraviglia. Ci sono due coincidenze. La prima è il nome del palazzo: Malagola. « Non viene da noi, come tanti pensano, dal momento che questa è la sede del Centro internazionale di ricerca vocale e sonora », spiega Ermanna Montanari, che lo dirige insieme a Enrico Pitozzi, studioso e docente dell’università di Bologna. «I Malagola erano una famiglia patrizia che aveva un ruolo importante nella gestione del porto di Ravenna. Questo è stato il primo posto che ci ha proposto il Comune: abbiamo accettato subito » . La seconda coincidenza è di tipo geografico e culturale: «Ravenna è un ponte tra Occidente e Oriente e lo si vede proprio in questa basilica fatta edificare dal re dei goti Teodorico, poi diventata chiesa bizantina con l’imperatore Giustiniano. Allo stesso modo, in questa mostra intitolataFino ai limiti dell’impossibile viene analizzato il rapporto tra Demetrio Stratos e le diverse culture, in particolare quelle del Mediterraneo, nella sua ricerca sulla voce».
Stratos è stato uno dei più grandi rivoluzionari della scena musicale: nato ad Alessandria d’Egitto da genitori greci nel ’45, si trasferisce in Italia per studiare architettura ma poco dopo si mette a suonare con i Ribelli, poi con gli Area dove inizia le sue sperimentazioni vocali che desteranno l’ammirazione di personaggi come John Cage.
La mostra è composta da sette stanze. Nella prima, dove si trovano dei manifesti, tra cui quello disegnato da Andrea Pazienza per il catalogo della Cramps di Gianni Sassi, ci sono splendidi miniritratti degli Area e di Demetrio — ma anche di Finardi, Balestrini, Nuova Consonanza (in cui militava Ennio Morricone), John Cage, Steve Lacy e molti altri. Di fianco, il fiore all’occhiello di Malagola: una stanza per l’ascolto immersivo. Buio totale all’inizio, poi la voce di Demetrio e una striscia di luce azzurra che vibra insieme alle tonalità del suono illuminando cuscini e sgabelli: qui ci si può sedere o sdraiare e lasciarsi andare all’ascolto delle diplofonie e triplofonie di Stratos.
« Il canto diplofonico, una parola composta da diplùs, che significa “doppio”, e da phoné, ovvero “voce”, permette di emettere contemporaneamente da due a tre note armoniche diverse grazie alle tecniche di respirazione. La ripetizione, agendo sul nervo simpatico di chi emette la voce induce all’estasi » , spiega Enrico Pitozzi. « Nella stanza immersivasi possono ascoltare i due Lamenti di Epiro che si trovano nell’album Metrodora, a testimonianza della sua attenzione verso i popoli del Mediterraneo e dell’Oriente».
Questo elemento di ricerca etnomusicologica si può vedere e ascoltare in cuffia nella camera successiva toccando, sullo schermo di un televisore, una mappa dove a ogni nazione corrispondono i dischi digitalizzati: i canti vietnamiti, degli aborigeni australiani, dei mongoli e così via. Nella quarta, invece, si può vedere il film documentario La voce Stratos di Luciano D’Onofrio e Monica Affatato che ripercorre la storia di questo straordinario artista, dallanascita al primo periodo con I Ribelli ( ricordate Pugni chiusi?) e poi degli Area, una delle migliori band a livello mondiale in quegli anni. La loro passione era così forte da portarli a suonare 16, 17 ore al giorno in una vecchia cascina immersa nella nebbia. L’incontro con Demetrio porta all’alchimia perfetta perché in un gruppo così sperimentale non ci poteva essere un cantante “normale”.
A questo punto, tornando nell’androne ed entrando nell’ambiente numero cinque, ci troviamo di fronte alla piccola scultura di Edoardo Sivelli che si vede in copertina del primo album degli Area, Arbeit macht frei,frutto di un prestito dell’archivio Gianni Sassi che degli Area fu discografico con la sua etichetta, la Cramps, ma anche mentore, art director e autore dei testi insieme a loro dopo lunghe discussioni. Nella sesta stanza altri documenti, tra cui una lettera di Stratos in risposta al critico Riccardo Bertoncelli che lo accusava di « inseguire singulti e libertà oppresso da rigide strutture » a cui lui rispondeva: « Io la libertà l’ho raggiunta da un pezzo, tanto che la voce è sempre in rapporto dialettico con gli altri strumenti, frutto di un preciso progetto iniziale: sarebbero queste le strutture rigide?». Infine, nella settima e ultima stanza, un altro tesoro: «Grazie alla donazione di Daniela Ronconi Demetriou, la moglie di Stratos, abbiamo potuto allestire in questa sede l’Archivio Stratos, consultabile gratis da chiunque – spiega Pitozzi – Tra i documenti abbiamo ritrovato il programma di sala del Satyricon interpretato da Demetrio per il teatro dell’Elfo nel 1978, così abbiamo avviato una ricerca con loro ed è saltata fuori la bobina originale che ci hanno gentilmente prestato: un vero e proprio inedito » . « C’è anche Stratos che interpreta i “Mesostics” di John Cage, blocchi vocali di parole scelte in base all’I Ching: ogni fonema ha un corpo tipografico indipendente per grandezza e intensità, così da suggerirne la messa in voce secondo parametri di volume, tono, lunghezza», racconta Ermanna. Venire qui aiuta a capire il brano più famoso di Stratos e degli Area,Gioia e rivoluzione: la gioia della creazione artistica che rivoluziona il senso. Suonare la voce per liberare il corpo e la mente.