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17 Maggio 2024Sarteano
17 Maggio 2024Alto 90 metri, simbolo della stagione dell’acciaio, era spento dal 2014. «Ora c’è da costruire la nuova identità di Piombino»
Silvia Ognibene
piombino Afo4 ha lottato fino alla fine. Ha resistito, quasi sapesse di non essere solo un mucchio di ferraglia ma un pezzo di storia, un simbolo di una stagione industriale che ieri è scomparsa anche dallo skyline di Piombino. Alla fine è venuto giù: alle 13 e 17 di ieri, l’ultimo storico altoforno delle acciaierie ha collassato. Sono riusciti ad abbatterlo al quarto tentativo. Tutti quelli esperiti nel pomeriggio di mercoledì erano andati a vuoto. L’altoforno era stato spento nel 2014, quando alle acciaierie ex Lucchini si fece l’ultima colata. Da allora non si è più prodotto acciaio a Piombino. Dieci anni di protocolli d’intesa, fogli di buone intenzioni e giri di tavolo ministeriali. Ma Afo4 era sempre lì, quasi ad ammonire con i suoi novanta metri d’altezza.
«È una pagina triste. Mi si stringe il cuore a pensare che sia stato abbattuto l’ultimo baluardo della siderurgia di Piombino. L’altoforno Afo 4 rappresentava il cuore dello stabilimento e della città. Sparito lui, non ci rimane niente». Ivio Barlettani è il grande vecchio del giornalismo piombinese. A capo de Il Tirreno e poi fondatore di TelePiombino all’alba delle Tv libere in Italia, della città ha visto, sentito, raccontato tutto.
L’altoforno Afo 4 entrò in esercizio nel 1978 e da solo colava due tonnellate e mezzo di acciaio al giorno. Fino alla primavera del 2014: quando venne spento fu un autentico choc per Piombino, l’avviso che ai più scaltri parve fin troppo evidente che da quel giorno tutto sarebbe cambiato, e in peggio. Nel maggio di quell’anno, gli operai si appellarono anche a Papa Francesco che li ricevette e poi chiese all’azienda uno sforzo di creatività e generosità per non lasciare orfani i lavoratori e la città.
Ma chi dieci anni fa aveva visto nubi nere sul futuro della città, aveva visto giusto. Dopo dieci anni di passaggi di mano e promesse non mantenute, c’è ancora solo l’attesa: l’attesa che parta il progetto di revamping di Jsw Steel Italy, l’attesa che parta il progetto dell’acciaieria «verde» di Metinvest-Danieli. Progetti e promesse non sono mancati ma nulla si è concretizzato, tanto che nell’animo dei piombinesi, continua Barlettani, «ormai alberga un misto di rassegnazione e menefreghismo». Ci si doveva pensare prima a cosa farne di Afo 4, per mantenere il simbolo, il filo con la storia che inizia con gli Etruschi e fa la gloria di un pezzo dell’industria pesante italiana, per poi infrangersi in un susseguirsi di passaggi di mano che hanno per protagonisti — comparse, piuttosto — russi, algerini, fino agli indiani e gli ucraini di oggi che hanno siglato documenti pieni di buone speranze, mentre la torre di 90 metri viene giù per fare spazio a niente. Si è discusso se fosse opportuno tenerla in piedi, ma si è concluso che avesse poco valore storico, che fosse solo un ammasso di ferro arrugginito troppo costoso da mantenere. Il Comune e Jsw stanno pensando di fare un museo dell’acciaio visibile anche ai vacanzieri. Ma senza Afo4 non cambia solo il profilo della città, cambia il rapporto con il passato industriale di Piombino. Si taglia il cordone ombelicale e bisogna definire un’identità nuova. E qui sta il problema: quale?
«I più anziani, quelli che alle acciaierie hanno lavorato negli anni d’oro, hanno una condizione emotiva profondamente diversa da chi al siderurgico ha lavorato negli ultimi dieci anni, fatti di cassa integrazione e promesse svanite — dice Davide Romagnani della Fiom Cgil — In tutte le città ci sono passaggi in cui si abbandona la vecchia identità per costruirne una nuova, questo dipende dall’evolversi della produzione, della tecnologia, del modo di lavorare. È fisiologico. Ma l’identità nuova si costruisce a partire dal lavoro che ridisegna le geografie produttive, economiche e sociali: qui manca il lavoro da cui partire per costruire la nuova identità di Piombino. Servono gli investimenti promessi in tempi recenti, visto che quelli vecchi sono stati solo promesse vane. Solo il lavoro per i giovani può essere una prospettiva per sostituire questa perdita». Senza investimenti, senza lavoro, al posto del vecchio altoforno resterà solo il vuoto.
«Afo 4 era il simbolo della città — dice Mirko Lami, 30 anni in acciaieria e una vita di sindacato con la Cgil — Serviva per trasmettere un messaggio alle giovani generazioni, quelle che non sanno che con il salario mobile dei lavoratori delle acciaierie venne acquistata la sede del circolo lavoratori che oggi è il centro giovani intitolato a Fabrizio De André. E che con il salario mobile degli operai della Lucchini vennero comprati i primi autobus per la mobilità cittadina. Con quell’altoforno generazioni di piombinesi hanno costruito le loro case e cresciuto le loro famiglie. Qui negli anni Ottanta c’erano diecimila lavoratori diretti e cinquemila nell’indotto. Troppi? Forse sì. Ma a me vederlo mozzato e poi buttato giù fa venire la pelle d’oca».
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