Azzariti
«Questo governo mostra grande intolleranza verso le critiche e i controlli, tanto sociali quanto istituzionali, forse perché trascura il sale della democrazia: la regola aurea dei pesi e contrappesi». Il costituzionalista della Sapienza Gaetano Azzariti legge con sempre maggiore preoccupazione il cumularsi dei divieti di Meloni contro la stampa “disobbediente”.
La premier supera i limiti?
«Mi colpiscono due cose. La prima sul merito. Meloni si lamenta di una stampa che la corregge, la contraddice, la critica. Ma questa dev’essere la funzione del quarto potere. Come diceva nel 1952 Humphrey Bogart nel film L’ultima minaccia, “è la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente, niente!”».
Il principio è questo, Meloni non lo rispetta e attacca.
«E qui c’è il secondo rilievo. Un presidente del Consiglio non dovrebbe mai attaccare sul piano personale un giornale comeRepubblica o una giornalista come Lilli Gruber. Dimostra scarsa consapevolezza del ruolo stesso del governo».
Meloni potrebbe citare Berlusconi che chiede la testa di Luttazzi.
«È stato uno dei suoi passaggi più problematici. Ma ora c’è un aspetto peggiore, l’attacco diretto a un’intera testata che può essere criticata, ma non delegittimata nella funzione di garanzia del pluralismo delle idee».
A Meloni che dice “non accettiamo lezioni di italianità che vengono da questi pulpiti” il direttore di Repubblica Molinari rimprovera “una carenza di rispetto per la libertà d’informazione”.
«Il problema non è ‘accettare o meno lezioni’, semmai di replicare con i fatti. Se un giornale pubblica notizie sbagliate è diritto di chiunque, e di certo anche del premier, chiedere rettifiche o fornire differenti versioni. Ma non risulta che ciò sia stato fatto.
La delegittimazione si fonda proprio su questo, non si vuole accettare la critica, ci si limita a mostrare una nervosa alterigia».
Meloni e i suoi ministri pretendono il silenzio tombale.
«Qui la questione è di principio, prescinde dai casi specifici che potrebbero moltiplicarsi all’infinito. I giornalisti devono rispondere al criterio della rilevanza sociale del fatto. Cito il caso Lollobrigida e il treno fermato. È un fatto quasi privato, ma ha rilevanza pubblica e politica».
E dove mette la Carta che garantisce la libertà di stampa?
«Il perimetro è indicato da due articoli, 2 e 21. Che garantiscono idiritti inviolabili della persona, e dunque il rispetto della privacy, ma pure la libertà di manifestare il pensiero senza che la stampa sia soggetta a “censure e autorizzazioni”».
Davvero? E perché la maggioranza vota il bavaglio?
«Più che di bavaglio parlerei di idiosincrasia verso la stampa che li porta a decidere misure del tutto controproducenti, che rischiano di trasformarsi in un boomerang. Si vieta la pubblicazione di fonti ufficiali come le ordinanze e si lascia al giornalista il compito di darne un riassunto, che rischia di essere ad alto tasso di soggettività, quindi foriero di imprecisioni o di volute distorsioni.
Un vulnus non solo al diritto di informare, ma soprattutto a quello dei cittadini di essere correttamente informati».
Nordio e Sisto volevano una stretta più dura.
«Perché la maggioranza non guarda agli Usa dove il primo obbligo dei giornalisti è riportare il pensiero di tutti i soggetti interessati? Con l’ordinanza vi siano le opinioni degli indagati a salvaguardia dei loro diritti. La regola dev’essere la luce e non il buio che rischia di finire sul tavolo della Consulta».