Il più grande fustigatore e sbeffeggiatore di ogni regola sociale, il geniale, irriverente e blasfemo Terry Gilliam, unico membro americano del gruppo comico-satirico Monty Python, oggi chiuderà la 28esima edizione dell’Umbria Film Festival di Montone, di cui è presidente. Del paesino umbro di 1.500 abitanti Gilliam è cittadino onorario dal 2010: «È l’unico posto del pianeta in cui pensano che io sia importante», ride. E di fronte alle proteste di chi scrive, racconta la genesi del suo rapporto con Montone: «Molti anni fa ho comprato un rudere in Umbria e il festival mi ha invitato a partecipare. Mi sono divertito moltissimo e man mano che loro mi aiutavano con l’incredibile burocrazia italiana per ristrutturare casa ho cominciato a dare il mio contributo. Poi sono stato proposto come cittadino onorario di Montone».
E come è stata la cerimonia? «Era tutto piuttosto comico. Nell’ufficio comunale, sopra di me un manipolo di cittadini evocava le ragioni per cui era giusto conferirmi la cittadinanza. Dall’altro lato, altri la avversavano. Ho dovuto tenere un discorso nel mio terribile italiano, quasi balbuziente, in cui facevo promesse idiote. Per esempio, portare a Montone tutto lo star system di Hollywood con cui avevo lavorato, da Brad Pitt, a Johnny Depp, a Bruce Willis. Adesso il prossimo passo è ottenere la cittadinanza italiana, perché rosico a non essere più cittadino europeo, dopo l’uscita dell’Inghilterra dall’Ue con la Brexit». Gilliam, nato a Minneapolis, nel Minnesota, nel 1940, è diventato cittadino britannico nel 1968 e ha formalmente rinunciato alla cittadinanza statunitense nel 2006. Dopo la vittoria dei laburisti alle recenti elezioni, si prospetta però un governo più filo europeo. La Brexit, non è mai stata nominata in campagna elettorale, come fosse un’ombra che gravava su entrambi gli schieramenti.
«Uscire dall’Ue è stata un’idea orribile e la realtà è ancora peggio dell’idea. Sono arrivato in Inghilterra nel 1967 e mi sono innamorato subito della società inglese per la sua intelligenza e il suo pragmatismo. La Brexit è il contrario del pragmatismo, è pazzia. Sto ancora soffrendo». Anche per la situazione negli Stati Uniti? «Mi sembra assurdo, ma la gente vuole ancora Trump, che è abilissimo a vendere sé stesso come il candidato ideale per chi è arrabbiato con l’attuale governo. Di fatto Trump non amministra:infila i suoi amici dove può, cerca di far soldi per sé, crea una gran confusione e naturalmente questo ha una pessima influenza sul resto del mondo. Con Trump sono spuntati Bolsonaro in Brasile e Orbán in Ungheria: è come un fungo che genera una colonia di esseri simili a lui». Si è dimenticato Milei in Argentina… «Ah, ma quello è così bizzarro, che almeno è molto più divertente di Trump».
I suoi film sono sempre stati un inno contro l’autoritarismo e burocrazia. Se dovesse fare una nuova commedia su questo tema, chi sceglierebbe come protagonista, Trump, Bolsonaro o Orbán?
«Ma quelli sono già ridicoli di loro! Anzi, sono osceni e assurdi. Se li trasformassi negli eroi di un film
li avvicinerei alla gente e sarebbe pericoloso».
Lei è un regista, sceneggiatore, comico, scrittore, produttore cinematografico e scenografo. Ma ha cominciato nell’animazione. Disegna ancora? «Ormai solo cartoline per la mia famiglia. Le preparo per mia moglie (la truccatrice Maggie Weston con cui è sposato dal 1973 e da cui ha avuto tre figli n.d.r.) per San Valentino e per il nostro anniversario. Il problema è che ho perso la mano. Però ho scoperto Photoshop e la mia vita è migliorata». Ama quindi il digitale? «Facilita le cose, ma lo uso in maniera primitiva. Ho letto solo la prima pagina del manuale», sghignazza.
Quindi non è coinvolto dal dibattito sulle conseguenze dell’Intelligenza artificiale sulla nostra vita?
«Non so di cosa la gente abbia paura: l’Intelligenza artificiale è già nella nostra vita. Il mio computer mi controlla e pretende che io mi comporti solo nella maniera in cui è programmato. Odio il mio computer, ma ne sono completamente dipendente. In cima alle mie idiosincrasie c’è però il telefonino, perché se lo perdo divento pazzo: tutta la mia memoria è lì. Siamo ormai noi a lavorare per le macchine».
Non ha mai pensato a fare un film su questo tema? Sospira. «No. Quel territorio è già occupato».
Beh, lei si occupa, a suo modo, di temi ben più complicati, come la religione, a partire daMonty Python e il Sacro Graaldel 1975, codiretto con Terry Jones. O Brian di Nazareth, di cui è stato interprete.
Un film sul digitale non può essere più complesso della lotta tra il Bene e il Male, su cui le piace cimentarsi. Per esempio, il suo prossimo film The Carnival at the end of days vedrà Johnny Depp nel ruolo di Satana e Jeff Bridges nei panni di Dio. Ci può dire qualcosa di più? «È una satira sul mondo in cui viviamo. Dio è arrabbiato con l’umanità e ha deciso di sbatterla fuori dall’eden, ma Satana è disperato ed è l’unico che si prodighi per salvarla per non restare senza lavoro per l’eternità. Sai che noia! Così Satana va in cerca di novelli Adamo ed Eva. È?una metafora di questa epoca, in cui la gente si batte per cause insignificanti. Mi riferisco alla woke culture, che vorrebbe essere un atteggiamento consapevole delle ingiustizie sociali e invece si riduce solo ad essere soffocante.
Gli esponenti della woke culture si dicono inclusivi e attenti alla diversità e invece non lo sono affatto. Io li ho battezzati neocalvinisti per la loro rigidità. E sono anche aggressivi se non sei d’accordo con loro. La mia intenzione è prendere in giro i dogmi del politically correct e fare in modo che la gente non abbia mai paura di prendersi gioco di qualsiasi argomento. In una società sana bisogna potersi confrontare su tutto. Per esempio, non amo la politica della signora Meloni, ma apprezzo il suo atteggiamento intelligente e piuttosto spiritoso. Mi ha divertito molto come abbia liquidato il suo compagno quando è diventato un problema politico».
Tornando al cinema, sarà forse Adam Driver il suo Adam? «No», dice risoluto. «È già Adamo nel nuovo film di Coppola», sogghigna, riferendosi a Megalopolis, appena presentato a Cannes, dove Driver è il protagonista Cesar Catilina. «Il nuovo Adamo sarà Asa Butterfield, il piccolo Hugo Cabret di Martin Scorsese, ora adulto. Stiamo ancora cercando Eva. Gireremo in Arabia Saudita e Spagna».
In Spagna Terry Gilliam ha girato il film di più lunga gestazione della sua vita, L’uomo che uccise Don Chisciotte, con Driver protagonista. Uscì nelle sale nel 2018, ma Gilliam cominciò a lavorarci nel 1998: vent’anni di inenarrabili sfortune e ritardi. Una vera tenacia alla Don Chisciotte. Ci assomiglia? «Soprattutto sono stupido come lui. È molto bello pensare che esista qualcuno con una visione così sognante dell’umanità. Quello in realtà è un film sulla gloria del fallimento. La parte migliore è quella in cui ci si rialza. Mi è facile identificarmi in Don Chisciotte. Quando giro un film, io stesso divento il film e mi perdo, proprio come fa Don Chisciotte con le sue imprese».
Che pensa della sua forma di umorismo? La ritiene europea o più americana? «Credo che ormai il mio humor sia molto british perché amo il fatto di come gli inglesi sappiano ridere di loro stessi. Sono stati parte dell’impero più grande del mondo, più fastoso ancora di quello romano, e l’unica maniera che hanno di sopravvivere a quel tracollo è di prendersi in giro.
Se sei stato sconfitto in maniera così abnorme, puoi sopravvivere solo dileggiandoti. In America invece sanno solamente ridere degli altri, senza riconoscere i propri difetti».
E dell’umorismo italiano che pensa? «La vostra civiltà ha radici così antiche che necessariamente la gente ha imparato a essere pragmatica, ancor più degli inglesi. Penso che l’Italia sia il Paese più umano d’Europa, se non del mondo. Si capiscono e capiscono il fluire dell’umanità. Sanno vivere, mangiare, ridere meglio di chiunque altro. Mi piace stare in Umbria perché non c’è turismo. E invece appena metti il piede in Toscana, uh!, Trovi tutta quella gente! Amo il temperamento montanaro degli umbri, abituati ad abitare in piccole comunità. L’unico dispiacere è stato vederli trasformare da buoni socialisti in elettori della destra. Ma capisco anche le origini di questo voto: la morte dell’ideologia ha lasciato questa povera gente sul fondo di un abisso e quando si sono rialzati grazie a un lavoro sono diventati borghesi (in italiano, n.d.r.) e quando sei borghese voti a destra».
Tornando all’umorismo, cosa pensa dell’attuale commedia italiana? «Di recente non ne ho viste troppe, dopo averne malauguratamente viste due o tre orribili. L’Italia è stata la massima espressione del divertimento nel cinema con la Commedia all’italiana degli anni Sessanta. I registi di allora sapevano mischiare un’incredibile vena drammatica a quella surrealista. Se penso ai Vitelloni di Fellini mi sganascio sempre. Ma se volete ridere venite tutti a Montone. È un posto bellissimo. Per esempio, durante le proiezioni in piazza, le ombre della gente che beve al bar si mescolano a quelle del film. Vedere il mondo reale entrare nel cinema è semplicemente fantastico».