Quello che sono, quello che erano, quello che non sono più o forse non sono mai stati Mentre il mondo aspetta il voto negli Stati Uniti, noi riguardiamo la loro storia con gli occhi della Magnum
di
Gabriele Romagnoli
Che fine ha fatto la promessa dell’America? Brucia ancora nella notte o è diventata cenere? È ancora disponibile o è soltanto una fantasia che si riflette nello specchio del passato? Stringiamo fra le mani la materia di un sogno, quando sta per dissolversi nel risveglio lasciandoil dubbio di non essere mai stato reale.
Ah, l’energia di New York, che ti si trasmette dalla suola delle scarpe alla punta dei capelli appena atterri. Ma l’aeroporto Jfk è un villaggio in ristrutturazione, la sua frontiera un imbuto e quando ne esci a goccia percepisci che la modernità ha traslocato da tempo, nella frenesia asiatica, nei treni a levitazione magnetica e nelle superstrade a traffico controllato. Qui la metropolitana è oscurità e ruggine, agguati sotto le telecamere e lavori eterni nei fine settimana. Il firmamento frammentato dell’isola di Manhattan è un poster nella cameretta dei Peter Pan, settantenni che ascoltano la musica di altri settantenni.
Poi Boston, incorniciata dal bracciale dei suoi piccoli paesi, luci su ogni rocciosa rientranza del New England, non incorona più neppure una vela: la coppa chiamata America è salpata per la Nuova Zelanda. E sulla spiaggia di Cape Cod: i Kennedy! I Kennedy! Camelot, la famiglia reale, in barca a vela baciata dal sole: John al timone, Jackie seduta che abbraccia John John e Caroline, Robert in piedi controvento, spettinato dalla brezza. Oggi ci resta Robert jr., con le sue strampalate teorie e l’appoggio finale a Trump, pur di andare a Washington, passando per il cimitero di Arlington dove riposano le fiamme. Dentro la Casa Bianca, assaltata dagli sciamani con le corna, forse riconquistata dal loro idolo pagano. Qual è la religione di questa America che seppellisce le ex mogli nei campi da golf per ricavarne un vantaggio fiscale? Per cosa si prega: per i raccolti, i figli lontani, la conquista di altri pianeti? L’immensa pianura è un tavolo inclinato verso i bagliori della California. Hollywood è ancora Hollywood? La pellicola dorata del cinema è stata frazionata in episodi di serie televisive, le statuette della notte più lunga consegnate all’immaginazione e al duro lavoro dei coreani. Si sono moltiplicati i padrini, mafia ovunque, perfino in Oklahoma, ma non uno di loro è sopravvissuto. I nostri sono già arrivati e si sono messi a tavola, aspettando il menù del Ringraziamento. L’America era la tua ostrica, da aprire con le mani, se volevi. Si è richiusa nel suo guscio.
In realtà quella che molti credono di conoscere è un falso ricordo, un’aggregazione di memorie distinte, pareri e descrizioni riferite da altri a cui si attribuisce autorevolezza provando soggezione psicologica,di letture, visioni, luoghi comuni che si fissano al punto da divenire sentenze inappellabili.
C’era una volta un’America, che è esistita soltanto in parte, ma nella quale tanti hanno creduto di aver vissuto, almeno per il tempo di un viaggio. L’effetto è quello di chi, avendo messo il segnalibro in una guida turistica alla pagina in cui ha ammirato un’immagine, cerca di scattare una fotografia in cui si trova al centro esatto. Non rileva che nel frattempo il paesaggio sia cambiato, l’albero sia stato abbattuto, il cielo oscurato dallo smog. Il soggetto continuerà a vedere lo sfondo della guida, a pensare di aver raggiunto e rivissuto il tempo dei pionieri, la nuova frontiera, la beat generation.
L’America è la culla e il santuario della democrazia, anche se continua a eleggere il suo presidente con un sistema assurdo per effetto del quale, troppo spesso, non vince chi ha ottenuto più voti e in cui la stragrande maggioranza degli Stati dà un risultato scontato e mal conteggiato. L’America è la terra delle opportunità, come no. Ha scritto Thomas Wolfe ( a cui questo testo è in parte debitore): « È un Paese favoloso, l’unico Paese favoloso, è l’unico posto dove i miracoli non solo avvengono, ma dove accadono ogni momento » . Wolfe è morto nel 1938, non ha conosciuto l’America dell’ 1%, quella delle più colossali diseguaglianze mai sperimentate nella storia moderna. Ci si credeva: « A ogni uomo, indipendentemente dai suoi natali, la sua splendente opportunità, il diritto di diventare qualunque cosa la sua essenza e la sua visione possano renderlo, questa è la promessa dell’America». O lo è stata.
Niente suona tanto bene quanto una leggenda. L’agnello giace su Broadway, si sdraia sotto le scie chimiche oltre il country club. La pelle americana è bucata da 41 colpi di pistola e per forza i treni del Nebraska sembrano infiniti: trasportano santi e peccatori, sconfitti e vincitori, prostitute e giocatori. Anime perse. Ancora Thomas Wolfe, già un secolo fa: «Credo che ci siamo persi, in America, ma credo ci troveranno». Purché facciano presto. Cantava Bruce Springsteen: «I sogni non saranno ridimensionati, la fede sarà ricompensata » . La ricorrenza del sogno americano: nelle notti della Storia, a più riprese, attraversa la mente di un popolo addormentato su un letto troppo alto, un materasso gonfio del quale ci si compiace appena entrati nella stanza di un motel, prima di aver capito che è solo un’altra apparenza, un modo per attutire la caduta. Aspettate primavera, bambini.
L’America è in definitiva un mito, per chi la vive, per chi la attraversa e per chi la pensa. È il mito dell’Altrove, per questo richiede un continuo movimento, nello spazio e nel tempo. Non è qui, non è ora; è stata e sarà: da qualche parte sopra l’arcobaleno.