Basterà un carrello della spesa, per quanto orgogliosamente “tricolore”, a bloccare gli effetti del rialzo dei tassi e frenare l’ondata di sfiducia che si sta abbattendo sull’Italia? La risposta in breve è no, e questo articolo potrebbe finire qui. Ma il combinato disposto di quello che è avvenuto ieri sui mercati finanziari e l’azione, o perlomeno la comunicazione, di governo, puntata invece sui supermercati, è illuminante.
Partiamo dal quadro generale attorno ai conti pubblici italiani, che si è improvvisamente annuvolato. Le prime notizie sulla Nota di aggiornamento al Documento di Economia e finanza già approvato ad aprile (per gli addetti ai lavori Nadef, in pratica il documento su cui si baserà la Legge di Bilancio per il prossimo anno) diffuse mercoledì e fornite in modo più analitico ieri, hanno dato tre informazioni: il debito pubblico, che il governo prevedeva dovesse scendere di 0,7 punti percentuali dal 2023 al 2024, calerà adesso di soli 0,1 punti; il rapporto tra deficit e Pil, scenderà sotto il 3% solo nel 2026; la crescita economica di quest’anno sarà più bassa dell’1% previsto inizialmente e si attesterà allo 0,8%.
Anche chi non ha grande dimestichezza con i numeri capisce che non sono segnali positivi. E, crescita economica a parte, la mancata riduzione di deficit e debito (di cui il governo attribuisce la maggior responsabilità agli effetti del Superbonus edilizio sulle finanze pubbliche), dipende anche dal fatto che la prossima Legge di Bilancio, per quanto modesta come valore complessivo — 20 miliardi circa — sarà in deficit per due terzi del totale, più o meno 14 miliardi.
Ieri i mercati finanziari hanno preso atto di quello che sta avvenendo, ossia che la prossima manovra sarà meno rigorosa di quanto si presumeva fino a qualche giorno fa e che la Repubblica italiana dovrà finanziarsi ancora abbondantemente emettendo titoli di Stato. Del resto, come evitare il ricorso al deficit se ci troviamo al punto di incrocio tra una campagna elettorale finita ormai un anno fa in cui siprometteva agli italiani di tutto e di più, e una congiuntura internazionale che permette invece di dare poco o niente? La maggioranza è già molto nervosa perché quella spesa pubblica, che da sempre è il collante di ogni coalizione, va limitata. Così il governo salva la riduzione del cuneo fiscale che è misura coerente con il proposito di sostenere i redditi medio-bassi, si scontra su promesse di stampo dichiaratamente leghista, come il Ponte sullo Stretto o le pensioni anticipate per molte categorie, e mette in cantiere anche misure irrealistiche: è il caso della previsione di ricavare circa un punto di Pil, 20 miliardi di euro, dalle privatizzazioni nei prossimi tre anni; un obiettivo che — per usare un eufemismo — non pare in linea con le idee e la pratica di buona parte della maggioranza.
Una situazione che i mercati — luoghi dove si incrociano flussi di domanda e di offerta e non congreghe di oscuri cospiratori nascosti da qualche parte — giudicano attribuendo un prezzo al rischio. E il prezzo è presto detto: ieri lo spread sui titoli di Stato decennali italiani rispetto ai Bund tedeschi ha superato la quota simbolica di 200 punti base, anche se poi è ridisceso a quota 193. E il rendimento dei Btp decennali è salito al 4,95%, un filo sotto quel 5% che ci riporta indietro al 2012, quando proprio la sfiducia dei mercati aveva portato alla defenestrazione di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi e i mercati ancora stentavano a recuperare fiducia.
Ma la realtà dei numeri non ha cittadinanza nel regno virtuale della propaganda: Salvini continua a gettare le fondamenta, immaginarie ma costose, del “suo” Ponte sullo Stretto. Meloni benedice per l’appunto il “carrello tricolore”, campagna di sconti organizzata con i produttori e la grande distribuzione.
Nulla di disdicevole nei saldi di Stato, ma propagandarli come un grande successo e una geniale soluzione alla crisi, mentre attorno all’affidabilità dell’Italia si addensano dubbi e preoccupazioni, non serve a molto e rischia solo di evidenziare la scarsità di strumenti a disposizione del governo.