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La Carta
Il suicidio assistito
claudia luise
Nella sentenza della Corte costituzionale sul fine vita «non è stato riconosciuto il diritto a darsi la morte, ma un aiuto a morire». Il presidente della Corte costituzionale, Augusto Barbera, chiarisce questo punto con un intenso intervento, al Meeting di Rimini, sulla differenza tra etica dei valori ed etica dei diritti e su come, la Costituzione, possa mediare tra queste due visioni. Da un lato concetti come vita, famiglia, patria. Dall’altro «il diritto di decidere come e quando voglio morire», è l’esempio che fa Barbera. Il giurista sottolinea: «Ho visto che c’è stata un’apertura interessante di Monsignor Vincenzo Paglia, responsabile dell’Accademia Pontificia della Vita, che sembra superare posizioni che in passato marcavano la presenza di limiti non negoziabili», che è stato «un messaggio anche per il Parlamento che invece sul punto è rimasto fermo. Non dobbiamo dimenticare che la Corte costituzionale che era stata investita della questione aveva rinviato la decisione per dar tempo al Parlamento di intervenire», ma quest’ultimo «non era riuscito a intervenire per la difficoltà di trovare degli accordi». Per questo «è dovuta intervenire la Corte costituzionale che aveva trovato in prima decisione un equilibrio dicendo che il valore della vita è intoccabile, ma che tuttavia in alcuni casi era possibile avere un’assistenza nel lasciarsi morire».
Dalla Consulta, quindi, non c’è «nessun cedimento a inammissibili pratiche eutanasiche», dice Barbera, ma «viene invece riconosciuto non un diritto a darsi la morte, se mai, solo un diritto a lasciarsi morire. Solo in taluni limitatissimi casi, sarebbe possibile richiedere un aiuto ad agevolare la propria decisione (un aiuto a morire e non solo “nel morire”, come nel ricorso alle cure palliative)». E poi commenta: «Si può ovviamente essere d’accordo o meno sulla soluzione che la Corte costituzionale ha dovuto adottare: chi guarda ai diritti critica la sentenza e parla di un insufficiente passo in avanti verso una piena libertà di scelta, chi guarda alla vita come valore denuncia una incrinatura dello stesso, in direzione eutanasica».
Il giudice prosegue analizzando anche la questione dei diritti dei figli delle coppie omogenitoriali. Da parte della Corte costituzionale, specifica, «c’è stata una chiusura netta alla gestazione per altri», che «offende la dignità della donna e mina le relazioni umane», senza distinguere «tra la gestazione come frutto di una contrattazione sul mercato e quella per solidarietà». Ma «altrettanto deciso è stato l’invito al Parlamento perché si faccia carico dei diritti di figli e figlie di coppie omosessuali». E ribadisce: «Lo abbiamo detto in più occasioni. Non è possibile non riconoscerli». Sul punto, quindi, la politica deve essere in grado di decidere. «Non esiste soltanto l’articolo 2 della Costituzione, ma anche il secondo comma dell’articolo 3», secondo cui «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di carattere economico e sociale che limitano libertà ed eguaglianza e impediscono il pieno sviluppo della persona: questo è un compito che spetta al potere politico che deve essere in grado di costruire, sulla base dei valori o fissati nella Costituzione». E a questo proposito ricorda: «Siamo i custodi della Costituzione ma non ne siamo interpreti esclusivi. Abbiamo sempre cercato la collaborazione con il Parlamento, non sempre ci siamo riusciti».
Un nodo centrale è la necessità di riformare la Costituzione: non la prima parte, che è «quella essenziale, dei valori” ma la seconda che va rivista. Non a caso è dal 1983 che si prova a farlo». Tentativi però che «ricordano un po’ il gioco dell’oca, per cui si va avanti e poi si torna indietro alla casella di partenza». «Auspico – conclude – che si trovi la soluzione più adatta. Si vuole tenere fermo il regime parlamentare? Bene, ma sia un regime parlamentare effettivo, non lo pseudo regime parlamentare che abbiamo. Oppure l’elezione diretta del presidente del Consiglio o del Capo dello Stato, ma bisogna trovare delle soluzioni».