I “pesci” non esistono
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17 Gennaio 2023L’attrice è morta in una clinica privata romanaDomani la Camera ardente in CampidoglioGiovedì i funerali
di Paolo Mereghetti
«La donna più bella del mondo» che si ribellò a Hollywood. Fu «la bersagliera» con De Sica
La «bersagliera» se n’è andata. A novantacinque anni (era nata a Subiaco, vicino a Roma, il 4 luglio 1927) «la donna più bella del mondo», come si intitolava un suo celebre successo degli anni Cinquanta, si è spenta in una clinica privata a Roma, dove era ricoverata da giovedì scorso. Domani, mercoledì, sarà allestita la camera ardente dalle 10 alle 19 nella sala della Protomoteca, in Campidoglio, prolungata anche la mattina del giorno successivo dalle 9.30 alle 11.30, prima dei funerali che si svolgeranno sempre giovedì 19 nella Chiesa degli artisti in Piazza del Popolo.
Qualcuno potrebbe contestarle il titolo di più bella, ma è indubbio che nell’immediato dopoguerra e per tutti gli anni Cinquanta se c’era un volto che rappresentava la bellezza italiana agli occhi del mondo era proprio quello di Gina Lollobrigida. Più della Loren ma anche più della Bosè e della Canale (che l’avevano preceduta nel 1947 al concorso di Miss Italia) e più della Mangano o della Pampanini.
Non è un caso se Orson Welles, che di beltà nazionali se ne intendeva molto, aveva scelto proprio lei per girare il pilot di una serie di reportage dall’Europa per la catena televisiva americana Abc, quel «Portrait of Gina» (1958) che, al di là della presenza piuttosto ingombrante del regista-narratore, conteneva già una curiosa riflessione sul fatto che le attrici italiane, e la Lollobrigida in particolare, fossero più amate e apprezzate all’estero che in Italia.
In effetti, dopo l’exploit a Miss Italia e l’esordio nel fotoromanzo col nome di Diana Loris, il cinema italiano fatica ad apprezzarne le qualità. Esordisce in una particina anonima nel film Aquila nera (1946) di Riccardo Freda (è la «ragazza bruna» alla festa nel palazzo dell’usurpatore Gino Cervi) e fino a Campane a martello (1949) di Zampa, dove interpreta una prostituta che affida i suoi risparmi a un prete, non è mai protagonista. Inizia a farsi notare con Cuori senza frontiere (1950, di Zampa), con Monicelli che la vuole in Vita da Cani (1950), cronaca semiseria di una troupe di avanspettacolo alle prese più con la fame che con il successo, e con Lizzani che la mise tra i partigiani in Achtung! Banditi!.
Ma le sue qualità non sfuggono all’americano Howard Hughes che la chiama a Hollywood per farle firmare un contratto che la Lollobrigida romperà (aveva scoperto che doveva essere rinchiusa in una gabbia dorata), rinunciando a una carriera forse di gran successo ma dimostrando così anche una determinazione e una coscienza del proprio ruolo e delle proprie potenzialità che non l’abbandoneranno mai.
Per fortuna le apre le porte la Francia dove Christian-Jaque la vuole per Fanfan La Tulipe (1952), nei panni (piacevolmente scollati) della zingara Adeline che con le sue false previsioni conquista Gérard Philipe, incapace di resistere al suo fascino. Fascino che è al centro dell’episodio La bellezza di Frine (da Altri tempi di Alessandro Blasetti, sempre ’52), dove l’avvocato De Sica la fa assolvere dall’accusa di aver avvelenato il marito convincendo una giuria tutta maschile che «se la legge impone di assolvere le minorate psichiche» perché non dovrebbe fare lo stesso con uno «straordinario esempio di maggiorata fisica» come è appunto la Lollobrigida?
Portata in trionfo da quella giuria osannante (e da un pubblico sempre più conquistato dalla sua bellezza ma anche dalla sua contagiosa simpatia) e finalmente apprezzata anche per le sue doti interpretative, grazie a una serie di ruoli drammatici e decisamente impegnativi (dopo Le infedeli di Monicelli, è la protagonista assoluta in La provinciale di Soldati, entrambi del ’53) la Lollo — come ormai tutti la chiamano — diventa anche una money star con il ruolo di Maria detta «la bersagliera» in Pane amore e fantasia di Luigi Comencini (1953).
Apprezzata all’estero, applaudita in Italia, la Lollobrigida diventa la protagonista di numerose produzioni internazionali: Il tesoro dell’Africa di John Huston (1954) al fianco di Humphrey Bogart (il quale dichiarò che al confronto della Lollobrigida, Marilyn Monroe sembrava Shirley Temple), La donna più bella del mondo (’54) di Robert Z. Leonard, Trapezio (’56) di Carol Reed, Il gobbo di Notre Dame (’56) di Jean Delannoy, La legge (1959) di Jules Dassin e Salomone e la regina di Saba (’59) di King Vidor.
Senza dimenticare il cinema italiano dove torna nei panni della «bersagliera» in Pane amore e gelosia (’54) sempre di Comencini (evitando però di interpretare il terzo episodio, Pane amore e…, sostituita dalla «nemica» Loren) e soprattutto in La romana (sempre ’54) dove ritrova Luigi Zampa che la dirige nel complesso e drammatico personaggio creato da Alberto Moravia, una scelta sicuramente controcorrente, anche rischiosa nei confronti dei gusti del pubblico, ma che l’attrice rivendica con orgoglio, a dimostrazione delle proprie capacità drammatiche e di un’ambizione artistica ai tempi non certo diffusa. E intanto Time il 16 agosto 1954 le dedica la copertina mentre i francesi battezzano con il suo nome («le Lollò») una nuova marca di reggiseni.
Sempre negli anni Cinquanta le nasce un figlio, Andrea Milko, dal medico sloveno Milko Skofic che aveva sposato nel 1949 e da cui si separerà nel 1971, senza più risposarsi, mentre sono molti i flirt che le sono stati attribuiti, dal cardiochirurgo Christian Barnard a Fidel Castro. E mentre il suo tipo di bellezza inizia a passare di moda, la sua carriera inizia a rallentare: qualche titolo importante ancora all’inizio degli anni Sessanta — Torna a settembre (’61) di Robert Mulligan, La bellezza di Ippolita di Giancarlo Zagni (’62), Venere imperiale di Jean Delannoy (’62), La donna di paglia (’64) di Basil Dearden, Un bellissimo novembre (’68) di Mauro Bolognini — e qualche ruolo di troppo fatto per sfruttare la popolarità d’antan.
Sarà ancora Comencini a volerla come fata Turchina nella sua versione televisiva di Pinocchio (’72) probabilmente l’ultima vera prova d’attrice di un’autentica star, che ha costruito tutta la sua carriera sulla determinazione e il coraggio di scelte anche controcorrenti — quanti ruoli di donna «perduta», sfruttata e sconfitta — senza mai potersi (o volersi) appoggiare a qualcuno che potesse aiutarla (come hanno fatte altre celebri colleghe scegliendo di sposare dei produttori per difendersi dai rischi cui le esponeva la loro bellezza in un mondo così maschilista come quello dell’Italia anni Cinquanta).
Negli anni Settanta la passione per il cinema viene sostituita da quella per la fotografia, poi da qualche acerba prova da scultrice, e il nome della Lollobrigida torna a occupare le cronache per il presunto matrimonio con il ben più giovane imprenditore spagnolo Javier Rigau e più recentemente per il tentativo (fallito) del figlio Milko di farla interdire per sottrarla all’influenza del «figlioccio» Andrea Piazzolla.
Ma sono «cadute» — vere o inventate, poco importa — che non mette conto nemmeno di ricordare e che non potranno offuscare nel cuore di tutti l’orgogliosa e luminosa bellezza dell’indimenticabile «bersagliera».