Alessandro
25 Novembre 2023“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta.” Pier Paolo Pasolini
25 Novembre 2023di Sergio Rizzo
La parabola di Mps è il film del Paese. La banca è nata nel Rinascimento quando questo era il centro della modernità economica, è finita in epoca recente in mano alla politica che l’ha distrutta e ora viene venduta un pezzo alla volta a fondi d’investimento in gran parte stranieri. Magari con gli stessi soldi guadagnati da qualcuno comprando a 25 le sofferenze della stessa banca e rivendendole a 50. Un esempio di masochismo made in Italy, senza che nemmeno stavolta la politica senta il bisogno di regalarci una pausa di silenzio e dignità. Il leader leghista Matteo Salvini avverte l’impellente necessità di attribuirsi un ruolo nel rilancio di Mps. «In anni in cui qualcuno aveva già preparato la svendita la banca più antica del mondo c’è, per un lavoro di squadra a cui anch ‘io ho dato il mio piccolo contributo», dice quando i conti del primo trimestre 2023 esibiscono il ritorno all’utile. Senza resistere a mettere la spilletta di Alberto Da Giussano sul bavero del presidente: «Sarebbe stata una follia per Siena e per l’Italia svendere Mps a prezzo di realizzo in un momento così drammatico. Nicola Maione da consigliere è stato protagonista di questa opera di giustizia sociale». Avvocato con studio a Roma, prima di essere nominato presidente della banca ne era stato consigliere. Ma durante il mandato a Mps gli era capitato di ritrovarsi al vertice di un’altra azienda di Stato: presidente Enav. Succedeva nel novembre 2018, durante il primo governo Conte, quello con i 5 Stelle e la Lega, nel quale Salvini era il socio forte. E Maione già all’epoca veniva marchiato dalle cronache come manager «in quota Lega». Una presunta affinità mai smentita da nessuno, anzi rafforzata dalla sua nomina alla presidenza di Mps decisa a maggio dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega salviniana. Nonché dalle parole dello stesso Salvini, decisamente sopra le righe. Perché se è vero che Mps si sta faticosamente risollevando, il merito non è certamente solo di Maione, che peraltro è presidente da pochi Mesi. O, peggio ancora, di. Salvini. Dopo le macerie lasciate dalla gestione parapolitica di Mussari & Company il lavoro è stato lungo. Più. di dieci anni ci sono voluti per rivedere il segno «+» in fondo al conto economico. E non è nemmeno sicuro che quel segno ci sarebbe stato se a dare una grossa mano non fosse intervenuto l’aumento dei tassi che ha fatto schizzare i margini di tutte le banche. Ma chi oggi brinda al successo sottolineando che il collocamento del 25% di quella che un tempo era la terza banca italiana ha garantito una plusvalenza del 44% dovrebbe esaminare anche l’altra faccia della medaglia. Scoprirebbe che c’è davvero poco da brindare. Siamo sicuri che dopo questo collocamento con il Tesoro ancora socio di controllo seppur con meno del 50% il matrimonio con un’altra banca sarà più facile? O piuttosto la vendita del 25% è stata una scelta obbligata per fare un po’ di cassa approfittando di condizioni favorevoli e dando per scontato che non ci sono all’orizzonte prospettive di una vera privatizzazione? Di sicuro, dopo aver previsto 20 miliardi di incassi dalle privatizzazioni qualche segnale Giorgetti doveva pur mandarlo ai mercati. E questo è il segnale più facile e immediato. Anche se i 728 milioni di introito sono una briciolina in confronto ai propositi. Ma non è per queste ragioni che dall’opposizione si critica l’operazione. Silvio Franceschelli, senatore Pd e sindaco di Montalcino, in provincia di Siena, contesta il fatto che «il governo passi all’incasso con una procedura di privatizzazione-lampo (…) mentre oggi Mps ha le carte in regola per giocare la sua partita da protagonista radicato nel territorio». E lamenta, Franceschelli, che il suddetto «governo agisce senza condividere alcuna scelta con Regione, Provincia e Comune». Dopo aver sentito queste parole, e senza arretrare di un millimetro dalle riserve già esternate, verrebbe da dire: meno male che almeno stavolta la politica locale è fuori gioco. Quello che ha distrutto Mps è stata proprio la sua gestione scriteriata con le pesantissime ingerenze di Regione, Provincia e Comune. Senza quelle e tutte con il marchio del Pd nelle varie versioni questo articolo non avrebbe senso perché la storia di Mps avrebbe preso un’altra strada. Il problema è che molti in quel partito la pensano ancora così. Come se quanto è successo non fosse mai successo, vorrebbero riavvolgere il nastro della storia e tornare ai tempi andati. Non ce la possiamo fare.