BRUXELLES — «Quando mi chiedete cosa è meglio fare, dico che non ne ho idea, ma fate qualcosa». Mario Draghi torna a strigliare l’Unione europea. Bloccata dai suoi stessi veti, impacciata dalle «barriere autoimposte», paralizzata dinanzi all’emergenza e a tratti inconsapevole dei rischi che corre con l’inattività. Soprattutto dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca il cambiamento si è accelerato e la possibilità che «l’Ue resti sola» sta crescendo. La Ue, dice Draghi parlando all’Europarlamento, per salvarsi dovrebbe agire come uno «Stato unico». «Non si può dire no al debito pubblico, no al Mercato unico, no alla creazione dell’Unione del mercato dei capitali — avverte — Non possiamo dire di no a tutto, altrimenti bisogna ammettere di non essere in grado di mantenere i nostri valori fondamentali». L’ex presidente Bce non ha dubbi sull’idea che il Vecchio Continente possa uscire dalle difficoltà se completa il percorso di integrazione federale. Ma «la risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra, con l’economia europea che ristagna mentre gran parte del mondo cresce». Senza contare che il ritorno a Washington del tycoon pone un problema ulteriore: «Se le recenti dichiarazioni delineano il nostro futuro, possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa». Quindi anche sulla difesa bisognerebbe procedere a tappe forzate verso uno sforzo unitario.
Poi torna sul vero punto dolente dei 27. Perché per fare tutto questo, a cominciare dall’armonizzazione delle nostre regole e dalla necessità di rendere di nuovo competitivo il nostro sistema, servono almeno 800 miliardi l’anno. La “Bussola per la competitività”, da poco approvata dalla Commissione, si inserisce pienamente in questo tracciato. Vanno cercati fondi privati ma anche pubblici. A suo giudizio ci sarebbe bisogno di «emettere debito comune, per definizione sovranazionale ». Una misura che rappresenta un tabù per molti Paesi, soprattutto i “frugali” del nord ma che l’ex premier considera essenziale. «Non abbiamo alternative — avverte — Siamo riusciti a vivere in una situazione piuttosto confortevole, ora questo mondo confortevole è finito».
Di certo la prima sfida è rappresentata dall’aggressività della Russia e anche per questo Draghi fa presente che la nostra difesa è «vulnerabile » e i 27 devono abbandonare la loro «frammentazione». Per di più, in questo contesto, gli europei devono fronteggiare non solo il Cremlino, ma anche l’ascesa della Cina e il protagonismo Usa che ci costringerà ad una guerra commerciale con i dazi. Tra i primi provvedimenti da adottare, allora, c’è sicuramente quello di abbassare i prezzi dell’energia anche perché il consumo «triplicherà entro il 2030» e «la decarbonizzazione può essere sostenibile solo se i suoi benefici vengono anticipati ». Lo stop alle auto a benzina è «sbagliato» se non si impone «l’installazione di sistemi di ricarica».
Una parte delle indicazioni di Draghi sono presenti nel “Clean Industrial Deal”, il provvedimento che la Commissione Ue approverà la prossima settimana. Nella bozza si ricorda che gli Stati possono ridurre le imposte nella bolletta elettrica e si prevede il cosiddetto “disaccoppiamento” per slegare il prezzo dell’elettricità dal costo del gas.
L’obiettivo complessivo è mobilitare circa 480 miliardi l’anno. Ma si tratta, al momento, non di risorse nuove ma già previste nel bilancio comunitario.