ROMA — Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella blocca l’emendamento al decreto fiscale che, nelle intenzioni del governo, puntava a un’estensione del finanziamento pubblico ai partiti. L’esecutivo Meloni, con la riformulazione di una modifica al decreto Fisco in votazione al Senato, ha provato a ridisegnare il sistema del 2xmille abolendolo a favore di un meccanismo che dal 2026 avrebbe raddoppiato l’ammontare dei contributi ai partiti, facendoli passare da 25 a oltre 40 milioni: con una distribuzione che sarebbe avvenuta in parte anche a prescindere dalla scelta dei contribuenti nella dichiarazione dei redditi.
Dal 2013 — abolito il finanziamento diretto pubblico ai partiti dal governo Letta — le formazioni politiche presenti in Parlamento possono sostenersi attraverso le erogazioni liberali di imprese e privati o con il meccanismo del 2xmille dell’Irpef: ogni contribuente nella dichiarazione dei redditi può decidere a quale partito erogarlo. Nella norma del 2013 è stato fissato comunque un tetto complessivo, fino a un ammontare massimo di 25 milioni di euro.
In Senato, nella proposta di legge di riconversione del decreto Fisco, Pd e Avs hanno presentato un emendamento per aumentare il tetto da 25 a 28 milioni di euro, perché nelle dichiarazioni dei redditi di quest’anno la somma totale del 2xmille destinato dai contribuenti ai partiti ammonta già a quasi 30 milioni.
Ma il governo ieri è andato oltre con una riscrittura dell’emendamento di Pd e Avs: un testo che da un lato riduce il 2xmille allo 0,2xmille, ma dall’altro prevede che «in caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse». Tradotto: anche la parte non impegnata dai cittadini che vogliono finanziare le formazioni politiche va redistribuita agli stessi partiti. Il criterio? In base alle percentuali incassate dalle scelte fatte dai contribuenti. Insomma, chi solitamente ha avuto di più dai cittadini incassa anche la maggiore fetta dello 0,2x mille complessivo.
Il testo proposto del governo prevede inoltre un «tetto massimo» di somme che è possibile distribuire ai partiti, dagli attuali 25 milioni si passa a 40 milioni di euro, e cancella la possibilità per privati e imprese di scaricare la devoluzione nella dichiarazione dei redditi.
Ma in serata arriva lo stop del Quirinale i cui rilievi sono sostanzialmente tre: le modifiche alla normativa vigente contenute nell’emendamento sono disomogenee rispetto al testo del decreto che deve avere le caratteristiche di necessità e urgenza; una riforma necessiterebbe di un provvedimento ad hoc più articolato; e l’emendamento avrebbe un impatto sulle finanze pubbliche oltre che sulle scelte dei cittadini. Se approvato in Senato, il presidente Mattarella rimanderebbe quindi il testo in Parlamento. Appreso l’orientamento del Quirinale, fonti del governo confermano che la riformulazione dell’emendamento sul 2xmille sarà ritirato. Anche se la proposta avrebbe trovato apprezzamento in parte del centrosinistra. Perché se subito Avs e 5 stelle dicono no alla riscrittura del governo, con il capogruppo del partito di Giuseppe Conte, Stefano Patuanelli, che lo ha definito «un colpo di mano per il ritorno al finanziamento pubblico ai partiti », il senatore e tesoriere del Partito democratico, Michele Fina, fa un ragionamento più articolato: «Premesso che noi avremmo votato sempre e comunque contro il decreto Fisco — dice — sul tema del finanziamento alla politica, e di un sistema che garantisca maggiore stabilità, da tempo abbiamo presentato proposte di legge molto simili alla riscrittura dell’emendamento in questione fatta dal governo». Secondo il tesoriere dei dem sarebbe corretto redistribuire anche la parte del 2xmille non optata dai cittadini: «Un finanziamento pubblico stabile, e con dei tetti, rende più liberi i partiti e li svincola dalle erogazioni di imprese e privati — dice Fina — ci dicano adesso governo e Quirinale in che modi affrontare questo tema».