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6 Agosto 2024L’esperienza del centro storico di Lecce
Dall’analisi condotta fino adesso si può evincere una regola di carattere generale, cioè valida per tutti i centri storici: la sola urbanistica non è sufficiente a porre in essere un’organica opera di rivitalizzazione, ma occorrono altri strumenti che guardino soprattutto al profilo economico-sociale.
Inoltre, come spesso accade, la disciplina urbanistica esistente presenta addirittura elementi di insufficienza e incoerenza normativa.
E’ il caso del centro storico di Lecce, dove le norme tecniche di attuazione (Nta) al piano regolatore generale oltre a fornire una definizione abbastanza ristretta di centro storico, comprendendo esso la sola maglia del tessuto urbano racchiusa dalle antiche mura cinquecentesche, presentano carattere di contraddittorietà, soprattutto per quanto riguarda la regolamentazione delle destinazioni d’uso.
Nella zona individuata come centro storico sono previsti soltanto interventi di recupero di tipo conservativo finalizzati, tra l’altro, “a mantenere la popolazione attuale; mantenere la struttura del quartiere prevedendo il recupero delle zone degradate; (…) garantire il mantenimento delle destinazioni d’uso attuali per quanto attiene alla residenza, al commercio al dettaglio ed all’artigianato non nocivo; consentire l’allontanamento di attività nocive, o che comportano di norma notevole affluenza di pubblico e comunque quelle incompatibili con il restauro conservativo della zona; […]” (art. 40, Nta).
L’art. 42 delle Nta, che è quella norma che vieta e consente all’interno del centro storico l’esercizio di determinate attività, ammette in tale zona l’apertura di esercizi commerciali di dettaglio, ristoranti, bar e locali per attività ricreative, agenzie di credito e di assicurazioni ed altre ancora.
Confrontando tale norma (art. 42) con la precedente (art. 40), laddove, si è detto, che tra le varie finalità cui devono mirare gli interventi, vi è quella di allontanare dal centro storico le “attività nocive”, sembrerebbe che la possibilità di dar vita nel centro storico, in particolare, a bar e locali per attività ricreative mal si concili con la predetta finalità.
In realtà le disposizioni in questione non forniscono spiegazioni sufficienti su cosa debba intendersi per “attività nocive” e per “attività ricreative”.
Sta di fatto che camminando per le vie del centro storico di Lecce, si è testimoni di una diffusa proliferazione di pub, birrerie, paninoteche, etc.; tutti locali, quindi, in cui l’attività ricreativa è l’elemento dominante e che, in quanto tali, attirano su loro una moltitudine di persone.
Se poi tali esercizi commerciali siano nocivi o meno per il centro storico, sta all’amministrazione comunale stabilirlo in base ad una valutazione discrezionale, vista l’assenza di parametri oggettivi prestabiliti e la genericità delle Nta.
A giudicare da quelli che sono stati i risultati di tali valutazioni, sembrerebbe che non si tratti di “attività nocive”, anche se i dubbi restano, soprattutto quando si assiste passivamente alla nascita nel cuore antico della città di un esercizio “McDonald’S” che non ha avuto grosse difficoltà ad aprire i battenti.
Tutto il centro storico di Lecce è individuato come zona di recupero, spetterà poi ai piani particolareggiati di settore individuare gli immobili, i complessi edilizi, gli isolati da assoggettare a piano di recupero.
Fino ad oggi un solo settore del centro storico ha visto l’approvazione del piano particolareggiato di riferimento (con delibera C.C. n. 753 del 13/07/82), peraltro tale piano è rimasto praticamente inattuato per tutti questi anni. I motivi fondamentalmente vanno individuati nella esiguità delle risorse finanziarie a disposizione dell’amministrazione comunale rispetto a quelle occorrenti per avviare un organico processo di recupero.
In ogni modo, l’inizio dell’opera di riqualificazione del centro storico di Lecce è stata resa possibile grazie ai finanziamenti del programma di iniziativa comunitaria Urban, il quale rivolgendosi ai quartieri urbani “in crisi”, sembra particolarmente adatto al recupero e alla rivitalizzazione, a fini abitativi e di sfruttamento economico e commerciale, dei centri storici.
Note
[1] F.G. Scoca – D. D’orsogna, Centri storici, problema irrisolto, in Scritti in onore di Alberto Predieri, 1996, Milano, vol. II, 1354.
[2] W. Cortese, La tutela dei centri storici e delle città d’arte. Profili normativi e prospettive alla luce della legislazione statale, regionale e comunitaria, in Nuove Autonomie, 2-3/1998, 236.
[3] M.S. Giannini, Difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale e culturale, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1971, 1124.
[4] Recentemente entrambe queste leggi sono state abrogate dal d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490, il quale ha provveduto al coordinamento di tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali, tramite la predisposizione del Testo Unico per i beni culturali e ambientali. In particolare, per quanto concerne le leggi del ’39, va detto che la disciplina in esse contenuta è stata quasi interamente recepita dal Testo Unico.
[5] A. Predieri, L’espropriazione di immobili nei centri storici per l’edilizia residenziale pubblica secondo la legge n. 865 del 1971. Canoni interpretativi nella semantica giuridica delle norme vigenti e prospettive di normazioni regionali, in Foro amm., 1972, III, 632.
[6] G. D’angelo, Quadro dei soggetti e delle competenze in tema di interventi nei centri storici, in Rivista giuridica dell’edilizia, 1994, 216.
[7] Per il testo del parere citato, cfr. M. Cammelli (a cura di), La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, Mulino, 2000 (appendice)
[8] A. Predieri, L’espropriazione di immobili nei centri storici per l’edilizia residenziale pubblica secondo la legge n. 865 del 1971. Canoni interpretativi nella semantica giuridica delle norme vigenti e prospettive di normazioni regionale cit., 627.
[9] Cfr. sul punto, M. Chiti,La nuova nozione di “beni culturali” nel d.lg. 112/1998, in Aedon, 1998, n. 1.
[10] F.G. Scoca – D. D’orsogna, Centri storici, problema irrisolto, cit., 1376 ss.
[11] Per un approfondimento del tema cfr. S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in L’Amministrazione dello Stato, Milano, 1976, 177 ss.
[12] Occorre precisare, peraltro, come questo sistema di tutela incide solo sull’aspetto negativo del problema, dato che consente di impedire che vengano iniziate o proseguite attività commerciali incompatibili con la salvaguardia dei centri storici. In realtà, una incidenza efficace sul piano positivo che garantisca, tra le varie attività compatibili con il contesto del centro antico, anche lo sviluppo di quelle di interesse culturale, dovrebbe essere realizzata attraverso l’esercizio di funzioni attive di promozione ed incentivazione.
[13] L’originario contenuto dell’art. 4 d.l. 832/86, poi sostituito in sede di conversione, si faceva carico di ridurre considerevolmente la discrezionalità comunale attraverso un procedimento il quale prevedeva che il ministro dei Beni culturali, di concerto con il ministro dei Lavori pubblici e su proposta del sovrintendente o del comune, dichiarasse, con decreto, l’interesse culturale di aree comprese nei centri storici e inoltre dettasse, con l’ulteriore concerto del ministro dell’Industria, indirizzi e criteri per l’individuazione delle attività imprenditoriali compatibili con le caratteristiche delle stesse zone. Il comune, in questo caso, avrebbe dovuto intervenire solo in fase attuativa dei criteri ed indirizzi, precedentemente stabiliti, e nelle aree individuate. Questo procedimento è stato del tutto soppresso ed è rimasto così solo il potere comunale.
4 – Fine