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Gas, Africa, dazi. Guida minima per capire, soldi alla mano, l’incontro tra la premier e il presidente americano
Roma. Non è stata solo una photo opportunity. Giorgia Meloni ha annunciato che al prossimo vertice della Nato l’Italia porterà un aumento delle spese militari al 2 per cento del prodotto interno lordo fin dal prossimo bilancio dello stato. Inoltre ha avuto da Donald Trump
un impegno a cominciare un negoziato sui dazi con l’Unione europea. Tutto da vedere come, quando e su che basi, però non sembra un risultato di facciata. Certo, c’è quel che si dice per l’opinione pubblica, c’è l’incontro a quattr’occhi, il più importante, del quale si sa quel che si vuol far sapere, e poi c’è tutto il resto, quello lasciato al seguito, alla diplomazia politica e a quella economica.
Dazi enon solo. Guida minima per capire gli affarifra Trump e Meloni
Il rituale è sempre lo stesso anche tra due personalità poco rituali come Donald Trump e Giorgia Meloni, la quale ha ottenuto senza dubbio un riconoscimento di rilievo come interlocutrice e per molti aspetti facilititatrice nel non facile rapporto transatlantico. E ha invitato Trump in Italia per il primo incontro. Ma poi ci sono i dettagli. I dossier economici sono molto complicati e intrecciano fronti esterni e fronti interni.
Sui dazi Meloni può esprimere un auspicio, dare suggerimenti, invitare al dialogo, ma a trattare sarà la Commissione europea. Naturalmente l’industria farmaceutica italiana che esporta molto negli Usa incrocia le dita e spera che The Donald venga almeno un po’ addolcito. Un desiderio condiviso da tutte le imprese che negli ultimi dieci anni hanno raddoppiato le loro vendite negli Stati Uniti. La partita dei dazi si gioca soprattutto tra Washington e Bruxelles, però le carte economiche bilaterali non sono meno importanti. Le spese militari innanzitutto. Meloni ha garantito la quota del 2 per cento subito, su questo ha convinto anche il riluttante Giancarlo Giorgetti, ma il ministro dell’Economia non intende derogare dai vincoli del Patto di stabilità, ciò significa rifiutare la proposta della Commissione Ue di spendere l’1,5 per cento del pil in più ogni anno. Affari interni europei? Non solo, perché l’extra spesa può essere la garanzia che l’incremento venga mantenuto anche negli anni e la spesa miltare è una questione
di lungo periodo. Difesa e sicurezza s’increcciano con la guerra in Ucraina, Trump adesso non si oppone a “missioni di pace”, Meloni ha insistito sulla “pace giusta”.
C’è poi la partita energetica che ha un doppio profilo: strategico ed economico. Meloni ha annunciato che le imprese italiane investiranno 10 miliardi di euro per le importazioni di gas liquefatto americano. Nulla osta tranne due non piccoli dettagli: il prezzo, perché oggi è più caro del metano algerino o di quello dal Golfo Persico; la strategia, che l’Eni ha messo in campo con grande rapidità ed efficacia dopo l’embargo al gas russo, sarebbe un pasticcio rimetterla in discussione. A tutto questo s’aggiunge il rebus dei rigassificatori, un aumento dell’import di gas liquefatto richiede più impianti e non sarà certo facile superare opposizioni che non sono solo dei no-gas, ma delle stesse amministrazioni locali.
A Trump sta molto a cuore che l’Italia acquisti più armi a stelle strisce. Già avviene, ma il gruppo italiano Leonardo ha stretto accordi extra americani: dai carri armati con la Germania al nuvo super caccia con Gran Bretagna e Giappone. Tutti dossier spinosi lasciati alle “intendenze”, a cominciare dalla web tax che Trump vuole sia tolta alle imprese americane. Anche questo dossier non è solo italiano e si presenta molto aggrovigliato.
Sul rapporto conflittuale con la Cina non c’è nessun contrasto di principio con gli Usa, tuttavia il presidente americano chiede di più, chiede che vengano sciolti tutti i nodi, almeno finché non sarà stato lui ad aver stabilito le nuove condizioni e ad aver definito i termini dei nuovi rapporti commerciali. Il governo italiano può fare parecchio (come si è visto nel caso della Pirelli), ma le relazioni economiche sono comunque un groviglio difficile da sciogliere. E se gli Usa si chiudono, mettono in serie difficoltà l’Italia.
L’interesse nazionale nei rapporti con gli Usa è di attirare investimenti americani non viceversa. C’è stata in questi anni un’apertura ai fondi, tuttavia la riconversione dell’industria italiana richiede non solo flussi di capitali, ma investimenti green field, cioè fabbriche, attività materiali, mentre è successo spesso il contrario (si pensi alla ritirata della Whirlpool oppure alla mancata fabbrica della Intel, per fare alcuni esempi eclatanti). Più in generale, se gli Stati Uniti chiedono un riequilibrio nella bilancia commerciale è nel loro interesse, un riequilibrio nella bilancia dei servizi è nell’interesse italiano.